La Cina sempre più aggressiva con la stampa
Espellere tre giornalisti del Wall Street Journal non è un buon segnale
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Geng Shuang, ha detto ieri che il suo governo ha deciso di revocare il visto giornalistico a tre giornalisti del Wall Street Journal di base a Pechino. Il vicecapo dell’ufficio di corrispondenza, Josh Chin, la giornalista economica Chao Deng (cittadini americani) e il reporter Philip Wen (cittadino australiano) dovranno lasciare la Cina entro cinque giorni. Da settimane Chao Deng è a Wuhan a raccontare l’epidemia di Covid-19.
Secondo il ministero cinese, l’espulsione dei tre giornalisti è dovuta a un editoriale pubblicato il 3 febbraio scorso dal Wall Street Journal, firmato da Walter Russell Mead, docente al Bard College e scholar all’Hudson Institute, che era stato intitolato dalla redazione: “China Is the Real Sick Man of Asia” (un’espressione, “sick man”, usata anche dall’Economist per l’Italia in una famosa copertina, per esempio). Pechino aveva protestato per il titolo definito “razzista”, ma il quotidiano di New York aveva rifiutato di scusarsi. Non succedeva dal 1998 che la Cina cacciasse via dei corrispondenti stranieri, ma negli ultimi anni il controllo sulla narrativa delle questioni cinesi da parte di Pechino è diventato più aggressivo, e il coronavirus ha peggiorato la situazione. L’ambasciata cinese in Nepal ha protestato contro il Kathmandu Post che aveva osato mettere in discussione la narrativa del “Partito comunista cinese che sta salvando il mondo dal virus”. Non solo. In un editoriale il Quotidiano del popolo, ieri, ha ricordato tutti gli altri esempi di “pessimo giornalismo internazionale”, e che “è importante che i media non inseguano mai la cosiddetta ‘libertà’ (la cosiddetta libertà, ndr) mettendo da parte l’umanità. […] Perché dovrebbero esistere i giornali se sfuggono arbitrariamente alla responsabilità e alla moralità? E’ qualcosa su cui alcuni media occidentali dovrebbero riflettere”. La Cina controlla la sua stampa – tanto che ieri il dipartimento di stato americano ha deciso di inserire gli uffici su suolo statunitense dell’agenzia Xinhua, di China Radio International, della China Global Television Network, del China Daily e del Quotidiano del popolo come “missioni diplomatiche straniere”, proprio a sottolineare la dipendenza di certi media da Pechino. La Cina controlla la sua stampa, ma non può e non deve controllare quella straniera. La libertà di tutti è in discussione, specialmente in una fase delicata come quella di una crisi sanitaria globale.