In Iran il numero di morti e contagi è cinque volte più alto di quello fornito dal regime
Il direttore delle emergenze dell'Oms nella regione parla di dati molto sottostimati: le vittime potrebbero essere fino a cinquemila. Le responsabilità del regime, tra bufale, insabbiamenti e fosse comuni
L'Iran è uno dei peggiori focolai di coronavirus al di fuori dell'epicentro nella regione dello Hubei, con il terzo carico più alto di contagiati dopo Cina e Italia: quasi 15 mila casi confermati, secondo i dati ufficiali. Ma sin da quando si è saputo della gravità dell'epidemia, si sa anche che le cifre fornite dal regime iraniano sono terribilmente sottostimate. Ne aveva parlato già a fine febbraio un team di ricercatori dell’Università di Toronto formato da esperti di epidemie e da matematici. Oggi il dottor Rick Brennan, direttore delle operazioni di emergenza per il Mediterraneo orientale dell'Organizzazione mondiale della Sanità, ha detto a Reuters che i numeri forniti dal regime potrebbero rappresentare solo un quinto del numero reale di contagi. Il motivo è che i test sono limitati ai casi gravi. "C'è un grande impegno e le autorità lo stanno prendendo sul serio", ha spiegato tuttavia Brennan, che sostiene l'anello più debole della catena nella gestione del coronavirus siano i dati e che prevede che, se il sistema sanitario iraniano aumenterà rapidamente la sua capacità di testare, i numeri saliranno.
Le responsabilità del regime
Secondo l'ultimo rapporto ufficiale del 16 marzo, il bilancio delle vittime è di 853 e 14.991 i contagiati. Se fosse come dice Brennan, rientrato da una missione in Iran la scorsa settimana, sarebbero quasi cinquemila i morti e 75 mila i malati. Radio Farda ha raccolto dati da commenti ufficiali delle autorità provinciali e dalle agenzie di stampa locali, ed è stata in grado di confermare che i morti di coronavirus sono almeno 1.500. "Il complicato sistema politico e la molteplicità degli organi decisionali in Iran ha portato a molte decisioni contraddittorie da parte dei funzionari", scrive la filiale iraniana di RFE/RL. "Le misure sono state annunciate ma non attuate a causa della resistenza di influenti centri di potere politici, religiosi e militari". Come ha scritto sul Foglio il professor Damiano Palano, direttore del dipartimento di Scienze politiche all'Università Cattolica del Sacro Cuore, "dato che spesso ogni livello periferico, per evitare accuse di inefficienza, cerca di gestire direttamente le crisi, le informazioni giungono sul tavolo del decisore politico piuttosto tardi, tanto che la situazione nel frattempo può aver assunto proporzioni difficilmente gestibili". E mentre i funzionari del governo iraniano incolpano le sanzioni americane per la carenza di attrezzature mediche e di kit per i test, gli Stati Uniti affermano che queste non ostacoleranno il commercio umanitario con il paese degli ayatollah.
Il 24 febbraio scorso, il viceministro della Salute, Iraj Harirchi, rassicurava i cittadini che l’epidemia era sotto controllo. Intanto, in conferenza stampa, sudava e tossiva. Mentre l’ayatollah Khamenei dichiarava che il virus era una bufala messa in giro dalla propaganda nemica, Harirchi era il volto del governo che forniva i numeri ufficiali del contagio, apparsi fin dall'inizio troppo bassi per essere realistici. Il giorno dopo ha annunciato di avere contratto anche lui la malattia.
Fosse comuni
Fin da subito, il regime si è preso poi l’incredibile responsabilità di non annunciare i primi casi di coronavirus a Qom all’inizio di febbraio e di lasciare che nella città santa dello sciismo continuasse l’andirivieni di pellegrini – circa 22 milioni ogni anno, dei quali due milioni e mezzo dall’estero – invece di tentare un contenimento.
Ne avevamo scritto qui:
Una settimana fa il New York Times ha pubblicato per primo le immagini satellitari di fosse comuni nella città di Qom. I documenti mostrano lo scavo di una nuova sezione in un cimitero ai margini settentrionali della città santa dell'Iran a fine febbraio, e due trincee lunghe 90 metri, alla fine del mese. Immagini che confermano le peggiori paure circa l'entità dell'epidemia e il successivo insabbiamento del governo.
La vendetta iraniana
Ulteriore preoccupazione: mentre il paese è di fronte a una crisi ospedaliera e sanitaria senza precedenti e il popolo iraniano sta soffrendo in modo indicibile il contagio, da quello che succede in Iraq in questi giorni è chiaro che le Guardie della rivoluzione, che comandano le milizie, approfittano del caos per avere quella vendetta che non potevano permettersi in tempi normali. Le milizie filoiraniane in Iraq all'improvviso hanno cominciato a colpire di nuovo le basi irachene che ospitano soldati americani.
Ne abbiamo scritto qui:
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I conservatori inglesi