La “social distance”, due metri uno dall’altro, non basta, non è mai bastata, c’è bisogno di più, dell’isolamento, e così anche Boris Johnson, il premier-sperimentatore inglese che ha cambiato strategia molte volte accumulando un ritardo dal costo umano molto alto (per tutti, non solo per gli inglesi), ieri ha chiuso pub e ristoranti e palestre e chiesto di lavorare da casa. Il giorno precedente, Johnson aveva detto che non c’era alcun bisogno di fermare Londra e che con un po’ di pazienza il virus sarà battuto in qualche settimana. Il giorno prima aveva annunciato la chiusura delle scuole. Quello prima aveva cambiato approccio: dal rallentamento del virus – con tutta la retorica della gradualità e del sacrificio da saper accettare – era passato alla soppressione, iniziando ad adottare le prime misure di isolamento. Tutto in modo graduale, per non spaventare troppo né le persone né i mercati, con un cinismo che difficilmente ci scorderemo – possiamo dimenticare il ponte che risolveva la Brexit, ma questo no – e soprattutto con un calcolo del tutto sbagliato: persone e mercati sono già terrorizzati, il tempo è una variabile cruciale in questa guerra. Esempio: secondo l’università inglese di Southampton, se i cinesi avessero detto al mondo che cosa stava accadendo con tre settimane di anticipo, il 95 per cento dei contagi – 95 per cento, tutto – non ci sarebbe stato. Eppure, la curva d’apprendimento globale rispetto alla pandemia resta piatta. Salgono soltanto le vittime. I racconti dagli ospedali inglesi sono drammatici: il sistema sanitario è già sotto una pressione quasi insostenibile, mentre i medici dicono di essere “pietrificati” dalla quantità di pazienti in arrivo e le infermiere mandano video piangendo perché fanno turni da 48 ore e quando escono trovano il supermercato svuotato.
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