(Foto AP / Chiang Ying-ying)

Hong Kong resiste. Da sola

Redazione

Le minacce di Trump servono a poco. Approvata la legge sull’inno nazionale

Nonostante il divieto disposto dalle autorità, ufficialmente per evitare nuovi contagi da coronavirus, ieri, 4 giugno, trentunesimo anniversario della strage di piazza Tian’anmen, migliaia di persone si sono riunite per la tradizionale fiaccolata in Victoria Park, a Hong Kong. E’ un segnale importante, evocativo e di coraggio. Perché poche ore prima il Parlamento locale dell’ex colonia inglese ha fatto passare una legge che criminalizza chi insulta l’inno nazionale cinese.

 

La legge, discussa nel giro di poche settimane, è l’ennesimo tentativo da parte di Pechino di introdurre norme e sistemi della Cina continentale anche nel territorio autonomo di Hong Kong. Chi insulta o modifica le parole della Marcia dei volontari potrà essere condannato a una multa da cinquemila euro fino a tre anni di carcere, e l’inno cinese sarà suonato nelle scuole prima delle lezioni. Ci sono state proteste anche all’interno di quello che dovrebbe rappresentare il luogo della discussione pubblica e democratica di Hong Kong, l’opposizione ha tentato di boicottare il voto.

 

Nella breve discussione parlamentare Elizabeth Quat, del Partito pro Pechino Dab, ha detto che “un parlamentare che si oppone a una legge simile sta violando l’etica politica di base”, e poi Wu Chi-wai, del Partito democratico, ha domandato: “Quante altre leggi draconiane e pene esemplari dovremo vedere?”. Hong Kong resiste, e lo sta facendo praticamente da sola.

 

La propaganda di Pechino pompa sui social network le immagini delle proteste in America. Il Quotidiano del popolo ieri, giorno dell’anniversario che Pechino tenta in tutti i modi di rimuovere, apriva con la telefonata tra il presidente Xi Jinping e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Perfino il famoso imprenditore e attivista Jimmy Lai ha detto alla Cnbs che le minacce di Trump di togliere lo status speciale all’ex colonia inglese sono controproducenti, perché sancirebbero l’abbandono finale di Hong Kong.

  

L’unico che finora ha dato un’alternativa concreta ai manifestanti è Boris Johnson, che ha offerto il visto a tre milioni di cittadini, e infatti ieri il Wall Street Journal titolava sulla sua “lezione di libertà”. Chissà se qualche altro paese lo seguirà.

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