Mark Rutte ha difeso il Recovery fund davanti al suo Parlamento spiegando che il benessere dei Paesi Bassi è legato a quello del resto d’Europa. “Due milioni di posti di lavoro dipendono dalle nostre esportazioni, di cui il 70 per cento verso l’Ue. Un’economia europea forte è nel nostro interesse”, ha detto il premier dell’Aia ribattendo a Geert Wilders che non vuole dare un centesimo all’Italia. Ma, in vista del Vertice di venerdì e sabato, Rutte si è detto pessimista su un accordo. Il “no” di Italia, Spagna e Grecia alla condizionalità è uno dei principali ostacoli. “Sono favorevole alla solidarietà con i paesi che soffrono”, ma “non possiamo concedere sovvenzioni senza promesse di riforme serie e modalità per assicurarci che siano realizzate”, ha spiegato Rutte. In realtà Angela Merkel e Charles Michel sono convinti che un accordo questo fine settimana sia possibile. Nella trattative bilaterali sono rimaste questioni aperte: ammontare del Recovery fund e del bilancio 2021-27, ratio prestiti-sussidi a fondo perduto, condizionalità sullo stato di diritto. L’Olanda insiste per il veto sui piani nazionali di riforma. Ma le linee rosse si stanno assottigliando. Uno spiraglio c’è e Giuseppe Conte farebbe bene a favorirlo. Come? L’Italia dovrebbe smettere di avere paura della condizionalità. Non solo nei fatti l’Ue è meno severa di quanto appaia, ma le riforme richieste farebbero bene all’Italia. Abolire Quota 100, trasformare il Reddito di cittadinanza in una politica attiva sul lavoro che non sia limitata all’assunzione dei navigator, liberalizzare invece di prorogare concessioni balneari fino al 2023, ridurre la tassazione sul lavoro spostandola su consumi e immobili, ammodernare pubblica amministrazione e giustizia: le raccomandazioni dell’Ue, come Green deal e digitalizzazione, servono a rendere l’Italia adeguata al 21° secolo. Accettare la condizionalità per favorire l’intesa sul Recovery fund sarebbe un semplice pegno di serietà.
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