editoriali
Etiopia come il Rwanda nel 1994
Rischio di massacri etnici nel nord del paese, serve diplomazia d’emergenza
L’Unione Europea e l’Italia farebbero bene a guardare con grande attenzione a quanto sta accadendo in Etiopia. Il governo del primo ministro, Abiy Ahmed, ha lanciato un’offensiva di larga scala contro il Fronte popolare di liberazione del Tigrè, la regione settentrionale popolata soprattutto dalle etnie tigrè e tigrina. Le tensioni tra Addis Abeba e il Fronte popolare di liberazione del Tigrè covavano da tempo e si erano aggravate per colpa delle elezioni locali tenute in settembre senza l’autorizzazione del governo centrale. Il pretesto per l’offensiva di Abiy Ahmed, lanciata il 4 novembre, è stato un attacco contro una base militare. Collegamenti telefonici e internet sono stati tagliati, isolando totalmente il Tigrè. Ma qualcosa è iniziato a filtrare.
Giovedì Amnesty ha pubblicato un rapporto secondo il quale centinaia di persone sono state fatte a pezzi a Mai-Kadra la notte del 9 novembre. L'Alto commissario Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha evocato possibili “crimini di guerra”. Abiy Ahmed non rischia solo di rovinare la sua reputazione personale, dopo il premio Nobel per la Pace del 2019 per il suo contributo alla fine della guerra tra Etiopia e Eritrea. Il pericolo di una guerra civile e di un conflitto etnico è di compromettere la storia di successo politico e economico dell’Etiopia che serve da modello per l’Africa. Cosa c’entrano l’Ue e l’Italia? “C’è il rischio che questa situazione diventi totalmente incontrollabile, portando a pesanti perdite di vite umane e distruzioni, così come a spostamenti massicci (di profughi) all’interno dell’Etiopia e al di là delle frontiere”, ha detto Bachelet. Per chi fugge dai massacri del Tigrè la prima tappa è il Sudan, la seconda la Libia, la terza potrebbe essere l’Italia. Ursula von der Leyen, che aveva fatto il suo primo viaggio da presidente della Commissione a Addis Abeba, farebbe bene a lanciare un’iniziativa diplomatica seria.