Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Editoriali

Non c'è Speranza per Salvini

Redazione

Sulle chiusure, il ministro della Salute usa il modello Merkel. Per fortuna

Non era proprio il caso, per l’indicazione del ministro della Sanità, di giocare con nomi, nomine e totonomine, e per fortuna quasi nessuno ci ha provato mentre nasceva il governo di Mario Draghi. Roberto Speranza è rimasto al suo posto, senza interrompere l’attività nemmeno durante il cambio a Palazzo Chigi. E adesso può andare in Parlamento a fissare le scadenze dei nuovi provvedimenti mentre altri, a sproposito, strillano o mormorano di riaperture.  E può usare il noto acronimo, dpcm, sì proprio quello, senza che qualcuno, sensatamente, possa obiettare.

 

Speranza si proietta al dopo Pasqua, anzi pure al dopo Pasquetta, arrivando a martedì 6 aprile come scadenza della validità del dpcm di cui, parlando al Senato, ha comunicato l’inizio della validità dal 6 marzo e fa arrabbiare Matteo Salvini, che ieri ha sostenuto che parlare di lockdown fino a Pasqua sia irrispettoso e che da mesi cerca di dimostrare una verità che lo stesso Salvini sa che non sta né in cielo né in terra: le chiusure sono di sinistra, le aperture sono di destra. Speranza, con stile, due giorni fa alle Camere ha scelto invece di depotenziare il contenuto politico delle scelte di contrasto alla pandemia spiegando perché decisioni come queste sono semplicemente non-partisan. E così intende andare avanti promettendo soprattutto di interpretare non una gestione della pandemia di destra o di sinistra ma un’idea europea di prudenza: si apre quando si può, si chiude quando si deve. “Le principali nazioni europee, governate da maggioranze e forze politiche di diverso orientamento politico, hanno scelto, dopo la prima ondata, una linea comune di massimo rigore per arginare la diffusione della pandemia”. Meno Salvini, più Merkel. E forse, in fondo, è quello che chiede non solo Speranza, ma anche la Lega.

 

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