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Editoriali

Le quote rosa che saltano per aria

Redazione

Le donne vittime del sessismo islamista, più grave di quello alla Treccani

Freddate per strada con un colpo alla nuca. È’ la fine che lo Stato islamico ha riservato in Afghanistan a Mursal Wahidi, Shahnaz Roafi e Sadia Sadat, ventenni giornaliste della tv e radio privata Enikass. A dicembre l’Isis aveva ucciso un’altra giornalista, Malala Maiwand, mentre a gennaio aveva assassinato due giudici donna. È in corso una guerra per annientare ogni singola donna che lavori, pensi o che esca di casa senza il permesso del proprio “custode”.

  

Nelle stesse ore venivano liberate le trecento studentesse rapite una settimana fa in Nigeria. Uno degli ultimi sequestri di massa che hanno dimostrato l’esistenza di una gigantesca tratta delle donne. Non altrettanto fortunata è stata una donna cristiana che resterà per ora nel braccio della morte in Pakistan, dove si trova da otto anni, Shagufta Kausar, accusata col marito di “blasfemia”.

 

Una bambina yazida di sette anni rapita dallo Stato islamico veniva salvata dai suoi rapitori ad Ankara, la capitale della Turchia. È la terza bambina in 18 mesi. È la prova che centinaia di donne e bambine vengono trafficate oltre confine dopo il crollo del Califfato. La bambina era prigioniera di un cittadino iracheno che si ritiene fosse un ufficiale dell’esercito prima di diventare un membro di alto livello dell’Isis a Mosul. Sei persone, tra cui una donna incinta e una bambina, sono state uccise in Burkina Faso quando l’ambulanza su cui viaggiavano è stata attaccata dai jihadisti. Questo per restare solo all’ultima settimana di cronaca.  

 

L’8 marzo a queste e ad altre donne non servono le nostre mimose, le nostre chiacchiere sul sessismo alla Treccani e le quote rosa: serve combattere e sconfiggere l’odio islamista che le vuole distruggerle. E con loro, noi.

  

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