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Foto LaPresse - Fabio Ferrari
Editoriali
Ossessione “jeunesse”
Stories, Twitch, ispirazioni americane. Macron vuole la sua “generazione Manu”
Vorrei parlare a chi non ascolta le mie conferenze stampa, ha detto il primo ministro francese, Jean Castex, vorrei parlare “a chi non legge i giornali” e raccontare le nostre decisioni, perché le prendiamo, che cosa vogliamo ottenere. Castex parlava con il giornalista Samuel Etienne su Twitch e naturalmente si rivolgeva ai giovani: per quanto sembrasse un pochino a disagio e facesse venire in mente l’ex presidente Chirac che, nel 2005, lanciò la campagna “jeunesse” e finì per dire in pubblico, a un ragazzo, “non posso farci niente, non vi capisco proprio”, Castex è uno dei prescelti da Emmanuel Macron per provare a parlare a un popolo che sembra inafferrabile.
All’Eliseo c’è una sezione giovani guidata da Gabriel Attal (guardate le stories su Instagram, decidete voi cosa pensarne), ma non è sufficiente, perché alle prossime elezioni ogni voto sarà importante, gli indifferenti vanno ridotti a zero (da Parigi si guarda sospirando alla mobilitazione che gli americani sono riusciti a costruire per le elezioni del 2020, sia a destra sia a sinistra). C’è poi uno specifico fattore Macron, o “Manu” come lo chiamano i francesi, per sembrare appunto giovane: quando si candidò nel 2017, il presidente fece il calcolo che solitamente fanno anche le candidate donne, cioè io sono giovane e ambizioso e i più giovani e ambiziosi mi seguiranno (vale ugualmente con il cliché donne che votano le donne). Non accadde, ma Macron vinse comunque perché, come ha detto al Monde Frédéric Dabi dell’istituto Ifop: “Il voto dei giovani non è mai stato determinante per nessuna elezione”. Eppure tutti i presidenti francesi (ma non solo in Francia) hanno avuto la loro ossessione jeunesse. A Macron tocca l’impresa in un momento in cui i giovani sono da un lato considerati untori e dall’altro i primi a patire gli effetti della pandemia: neanche le riforme sulla scuola erano sulla carta tanto pericolose.
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