Editoriali
Le lezioni che l'Italia deve trarre dall'ennesima strage di migranti
Nelle ultime 48 ore centinaia di persone sono scomparse nelle acque del Mediterraneo al largo della Libia. Non possiamo permetterci di restare inermi. Non è umanitarismo, è buon senso
Nelle ultime 48 ore centinaia di migranti sono scomparsi nelle acque del Mediterraneo al largo della Libia. Scriviamo centinaia perché non si conosce – e probabilmente non conosceremo mai – il numero esatto, né tantomeno le identità, delle vittime dei due naufragi di questi giorni. Si stima che su un gommone fossero in 130, mentre altri 40 sarebbero stati a bordo di un altro barchino di cui si sono perse le tracce.
Come spesso accade in occasione di disgrazie come queste abbiamo già una nuova icona, pronta da pubblicare sulle prime pagine dei giornali (lo abbiamo fatto anche noi nel Foglio del weekend, grazie alla sensibilità graffiante di un artista come Makkox): un uomo riverso a pancia in giù, tenuto a galla da un salvagente. Non è la prima né sarà l’ultima, al punto che – temiamo – queste icone rischiano di diventare ai nostri occhi, piuttosto, figurine indistinte l’una dall’altra. Ora c’è da chiedersi quanti morti affogati dovremo ancora contare prima di imparare una volta per tutte alcune lezioni. La prima – come ha detto venerdì l’ammiraglio della Guardia costiera Vittorio Alessandro – è che questi naufraghi “non sono stati vittime della loro cieca ostinazione, ma delle autorità responsabili”. La seconda è che non possiamo affidare i salvataggi esclusivamente alla Guardia costiera libica, perché – come dimostra il loro recente rifiuto deliberato a salvare le due barche in difficoltà – significa essere ostaggi dei loro ricatti e della loro incompetenza. La terza è che un paese come il nostro, membro dell’Ue, non può permettersi di ignorare e rifiutare le richieste di soccorso che arrivano dal mare. Restare inermi, come ha fatto il Comando generale del corpo delle capitanerie di porto a Roma, seguendo quella che è una prassi criminale consolidata, significa renderci corresponsabili di stragi come queste. L’alternativa c’è e si muove su due livelli. Da un lato, sui tavoli negoziali di Bruxelles, per far sì che gli altri paesi membri non si nascondano dietro a ipocrite formulette come quella della “solidarietà flessibile”; dall’altro, impiegando finalmente la nostra Guardia costiera. Usiamola per salvare uomini e non solo per liberare le tartarughe incastrate nelle reti da pesca. Non è umanitarismo a senso unico, è buon senso.