editoriali
Antisemitismo a Gelsenkirchen
Il presidente Steinmeier condanna, ora tocca ai giudici tedeschi. Il precedente
Il presidente federale Frank-Walter Steinmeier ha promesso “zero tolleranza” per l’odio antiebraico. Per la cancelliera Angela Merkel chi scende per strada per gridare il proprio odio verso gli ebrei “abusa del diritto di manifestare”. La Germania ha condannato con forza l’oscena manifestazione di giovedì a Gelsenkirchen, centro della Ruhr ad alta densità di popolazione immigrata: sventolando bandiere palestinesi, turche e algerine, un manipolo di facinorosi ha scandito “Scheiß-Juden!”, all’indirizzo della sinagoga protetta dalla polizia. Scene che hanno tolto il sonno alla comunità ebraica di Gelsenkirchen, 300 persone tornate ad animare la sinagoga ricostruita negli anni ’60 sulle ceneri di quella distrutta dai nazisti nel 1938, quando gli ebrei locali erano 1.800.
A una città con una forte componente musulmana, gli ebrei di Gelsenkirchen non chiedono di issare la bandiera di Israele sul palazzo comunale per dimostrare solidarietà con lo Stato ebraico. Una scelta fatta invece dalla Cdu di Angela Merkel che ne ha fatte issare un paio davanti a due municipi a Berlino – una è stata rubata dopo poche ore, l’altra è stata data alle fiamme. Viene però da chiedersi con quale spirito gli ebrei di Gelsenkirchen si rechino in sinagoga per celebrare lo Shabbat o l’imminente festa di Shavuot, che ricorda il dono divino della Torah sul Monte Sinai. Ai manifestanti antisemiti, il presidente Steinmeier ha ricordato che hanno commesso un reato perseguibile per legge. C’è da sperare che se lo ricordino anche i giudici tedeschi. Nel 2017 un tribunale negò la natura antiebraica dell’attacco di Wuppertal. Tre anni prima, in pieno conflitto Israele-Hamas, tre palestinesi avevano lanciato delle molotov contro la sinagoga locale. I responsabili furono condannati con la condizionale per tentato rogo ma il giudice non intravide alcuna aggravante per antisemitismo spiegando il gesto come un atto di protesta contro lo stato d’Israele.
Cose dai nostri schermi