editoriali
Un referendum sull'Orbanexit
È il momento di chiedere a ungheresi e polacchi se vogliono stare dentro o fuori
Viktor Orbán ieri ha annunciato un referendum contro i diritti Lgbt, dopo che la Commissione ha avviato una procedura di infrazione sulla sua legge che assimila l’omosessualità alla pedofilia. Ma il premier ungherese sbaglia quesito. Non è sul cambiamento di genere dei minori che andrebbero interrogati nelle urne i suoi cittadini. E’ sull’appartenenza all’Unione europea. Perché ormai è chiaro che lo scontro in corso tra Bruxelles e i governi di Budapest e Varsavia non riguarda solo i valori, ma il rispetto delle regole di convivenza dell’Ue. Il rapporto sullo stato di diritto pubblicato dalla Commissione martedì lo conferma: la deriva illiberale e antidemocratica di Ungheria e Polonia prosegue, con l’erosione di tutti i contropoteri, dall’indipendenza della giustizia alla libertà di media, università o società civili. Il problema per l’Ue non è scegliere tra “epurare o fare compromessi”, come ha scritto ieri il Figaro.
Quando Budapest e Varsavia, che sono i principali beneficiari dei fondi Ue, rifiutano di fare riforme per garantire che i soldi del Recovery fund non finiscano a clientele, si danneggiano i contribuenti degli altri paesi. Quando la Polonia rifiuta la primazia del diritto comunitario e delle sentenze della Corte europea di giustizia, l’Ue non può più funzionare nemmeno nella forma minima di grande mercato unico. La legge anti Lgbt è servita da sveglia. Il premier olandese, Mark Rutte, ha posto la questione dell’appartenenza dell’Ungheria di Orbán nell’Ue. La Commissione deve essere più coraggiosa e dire chiaramente che il regime del Fidesz a Budapest e quello del PiS a Varsavia sono incompatibili con la permanenza del club. Sono i cittadini ungheresi e polacchi a dover scegliere, meglio alle elezioni legislative che in un referendum. Il quesito è semplice: dentro l’Ue rispettando le regole oppure fuori dall’Ue senza più i suoi benefici?