editoriali
Il Labour è in confusione
A favore, anzi no. E il pass vaccinale è destinato a collassare nel Regno Unito
Con tutta probabilità, l’introduzione del passaporto vaccinale come requisito per accedere ai luoghi affollati non ci sarà. Soltanto qualche giorno fa, il premier Boris Johnson aveva detto che sì, un pass vaccinale era necessario, aveva parlato delle discoteche e della necessità di introdurlo a settembre. Aveva anche accompagnato l’annuncio con un bel commento: per rigustarci la normalità dobbiamo comprendere che occorre fare uno sforzo di responsabilità ulteriore. Ma la proposta ha scatenato una rivolta dentro al Partito conservatore: molti accusano Johnson non soltanto di non aver garantito la “freedom” che aveva promesso ma di aver violato la promessa libertaria su cui si fonda il suo mandato, su un tema come quello dei documenti d’identità che come si sa è per gli anglosassoni una questione culturale piuttosto preminente.
Se da un certo mondo della destra la protesta era prevedibile (la vediamo ovunque), ha sorpreso però l’indecisione del Labour che è sì il partito d’opposizione ma è anche quello della responsabilità. A febbraio, quando la campagna di vaccinazione andava fortissima e la variante Delta non esisteva, il leader Keir Starmer aveva detto che era necessario considerare la possibilità di un pass vaccinale: “Probabilmente è inevitabile”. Quando l’inevitabilità è diventata evidente anche al governo, il Labour è riuscito a non prendere una posizione chiara, schivando le domande dirette sul passaporto. Nelle ultime ore circola la frase di un portavoce del Labour che dice: “Siamo contrari all’utilizzo di un documento vaccinale per accedere ai luoghi e ai servizi della vita quotidiana. E’ costoso, non esclude le truffe ed è impraticabile. Ed essere completamente vaccinati non prova l’assenza di infezione del virus”. Non si sa se è la posizione ufficiale del partito, ma l’indecisione dice già un po’ tutto, anche sul futuro del pass vaccinale nel Regno.