Editoriali
L'ultima sull'ungherese Orbán
Il premier si fa un suo Recovery plan, ma non è affatto una vittima dell’Ue
Viktor Orbán ha annunciato che l’Ungheria si farà il suo Recovery fund dato che la Commissione europea non ha ancora dato il via libera al piano nazionale di ripresa e resilienza con cui Budapest spera di ottenere 7,2 miliardi di euro. Il primo ministro ha accusato Bruxelles di fare “una guerra ideologica” e di usare il Recovery fund come un’arma di ricatto. Orbán ha spiegato che la Commissione ha chiesto all’Ungheria di prorogare di due mesi la scadenza per dare il via libera al Pnrr. “Il tempo è importante, quindi il governo ha deciso di creare un fondo di ripresa ungherese”, ha detto: “Avvieremo i programmi che sono già stati approvati (dalla Commissione). Poi i soldi arriveranno quando arriveranno”. Secondo Orbán, oggi “la corruzione è spesso citata come problema” dalla Commissione, “ma eravamo già vicini a un accordo. All’improvviso, dopo aver approvato la legge sulla protezione dei bambini, siamo diventati molto corrotti. Questa è ovviamente una scusa”.
La verità, come spesso capita con Orbán, sta altrove. La legge anti Lgbt non c’entra niente. La Commissione contesta il Pnrr ungherese perché i meccanismi di controllo sull’uso dei fondi sono inadeguati e non ci sono sufficienti riforme sullo stato di diritto che erano state raccomandate nel 2019 (indipendenza della giustizia, lotta alla corruzione e trasparenza sugli appalti). La Commissione non vuole che 7,2 miliardi finanziati dai contribuenti europei finiscano alle clientele di Orbán, come accaduto in passato con la politica di coesione dell’Ue. Può apparire paradossale ma, con un rinvio di due mesi, la Commissione fa un favore all’Ungheria. L’alternativa sarebbe bocciare il piano, perché non rispetta gli undici criteri per ottenere i fondi del Recovery fund. La Commissione non vuole farlo per evitare un’escalation. Se Ursula von der Leyen può essere accusata di qualcosa, non è di guerra ideologica, ma di essere troppo remissiva sulla sfida di Orbán allo stato di diritto.
La prossima Commissione