Editoriali
Kodak chiede scusa alla Cina
L’azienda pubblica sui social un progetto sullo Xinjiang, ma poi ci ripensa
Qualche giorno fa l’ennesima azienda internazionale si è scusata con la Cina, interlocutrice e mercato too big per essere ignorato: “La pagina Instagram di Kodak è pensata per valorizzare la creatività fornendo una piattaforma per promuovere il mezzo cinematografico. Non intende essere una piattaforma per esprimere opinioni politiche”. Al centro della polemica c’è una serie di immagini scattate nella regione dello Xinjiang tra il 2016 e il 2020 dal fotoreporter francese Patrick Wack. Le fotografie – scattate in analogica su pellicole Kodak – fanno parte di un libro che uscirà in ottobre, “Dust”, il cui scopo secondo il documentarista è quello di fornire una narrazione visiva della regione e una testimonianza della “brusca discesa in una distopia orwelliana” dello Xinjiang negli ultimi cinque anni. Inizialmente rilanciate dal canale ufficiale di Kodak, dopo le critiche da parte dei sostenitori di Pechino il post è stato cancellato. “Le idee espresse da Mr. Wack non rappresentano quelle di Kodak e non sono approvate da Kodak. Ci scusiamo per qualsiasi malinteso o offesa che potrebbero essere stati causati dal post”, ha detto l’azienda, che ha poi pubblicato una dichiarazione separata sul social cinese WeChat: “Continueremo a rispettare il governo cinese e la legge cinese”. E ancora: “Ci terremo sotto controllo e ci correggeremo, prendendo questo come un esempio della necessità di cautela”. Le critiche non sono arrivate solo dai commenti via social (disabilitati sul post di scuse), ma anche dal Global Times cinese, che in un articolo si rivolge ad aziende e individui accusandoli di voler soddisfare “la richiesta occidentale di demonizzare lo Xinjiang” per pubblicità e guadagno finanziario.
La dinamica la conosciamo: Pechino protesta e le aziende si adeguano, arrivando a negare come in questo caso la propria ragione d’essere: Kodak fa prodotti che servono per testimoniare quel che accade, cosa preziosissima quando si ha a che fare con un paese come la Cina, che nega l’evidenza.
I conservatori inglesi