Editoriali
Il successo del Canada
La campagna di vaccinazione va bene perché tutti i partiti la sostengono
All’inizio della campagna di vaccinazione globale, il Canada aveva accumulato molti ritardi. Non avendo alcun impianto di produzione, dipendeva dalle forniture degli altri, in particolare dei vicini: gli Stati Uniti dell’alleato Joe Biden, pur condividendo con il premier canadese Justin Trudeau un grande afflato multilaterale e solidale, non esportavano nemmeno una dose fuori dai loro confini. E’ per questo che la notizia di questi giorni del sorpasso del Canada rispetto all’America in termini di tasso di vaccinazione ha preso subito il sapore della rivincita.
Il 58 per cento della popolazione canadese ha ricevuto la prima dose, contro il 49 della popolazione americana: il Canada guida ora i paesi del G7 (l’America è al sesto posto, davanti solo al Giappone). Ma più che alimentare la rivalità tra vicini, gli esperti invitano a capire le ragioni di questa accelerazione: sono utili per tutti.
In tutte le rilevazioni emerge che il successo del modello canadese è sì stato determinato da una flessibilità nella contrattazione e da una capillarità nella somministrazione (che non riguarda tutto il Canada né tutte le fasce d’età, e le polemiche non mancano), ma soprattutto dal fatto che la vaccinazione non è diventata una questione politica. Tutti i partiti principali del paese hanno fatto campagna a favore dei vaccini, quelli di opposizione hanno criticato il governo soltanto per la sua lentezza. Si è discusso molto di lockdown, ma le misure più severe sono state introdotte dal governatore dell’Ontario, Doug Ford, che è stato spesso ritratto come un Trump canadese. “Odio i lockdown”, ha detto spesso Ford, ma quando il suo consiglio scientifico gli ha detto che era necessario, lo ha applicato.
In Canada essere contro la scienza o contro i vaccini non aumenta il consenso: i No vax esistono, ma la popolarità è data dalla velocità con cui ci si vaccina e quindi si torna alla normalità.