Editoriali
No vax, no teach
Vaccinarsi deve essere un obbligo per gli insegnanti, dice il rabbino Kanievsky
A far resistenza alla campagna di vaccinazione capillare organizzata in Israele già a partire da fine dicembre dello scorso anno era soprattutto la comunità haredi, che era anche quella meno incline a rispettare le restrizioni. Se l’atteggiamento infastidiva il governo, ma veniva tollerato, ora la tolleranza sta venendo meno, non tanto dal governo, ma anche da esponenti illustri della comunità.
Dall’8 agosto hanno iniziato a riaprire le scuole ultraortodosse. I casi di coronavirus, come era prevedibile, sono di nuovo in aumento e lo stato ebraico, che ha iniziato già a somministrare la terza dose, ha la sensazione di essere soggetto alle fatiche di Sisifo: vede la luce della fine della pandemia, ma non riesce, come tutti, a uscirne. Soltanto che Israele la luce sembrava averla vista un po’ più del resto del mondo, per questo l’aumento dei contagiati è vissuto con ancora più frustrazione, oltre che con preoccupazione. Soprattutto se l’aumento è dovuto al rifiuto di vaccinarsi.
Anche il rabbino Chaim Kanievsky, forse il più illustre rappresentante della comunità haredi, ha perso la pazienza e in un incontro con il commissario per il coronavirus, Salman Zarka, ha detto che tutti dovrebbero essere vaccinati, a partire dagli insegnanti. Kanievsky è tra i rabbini che sempre hanno fatto appelli agli ultraortodossi affinché si vaccinassero, ma gli appelli non bastano più. Secondo una dichiarazione del ministero della Salute, Kanievsky ha detto che agli insegnanti dovrebbe essere “proibito” di andare a lavorare se non sono vaccinati e che tutti coloro che sono coinvolti nell’istruzione dovrebbero essere obbligati a farlo. E i presidi dovrebbero sospendere chi si rifiuta. Una lezione più che saggia, l’unico precetto da seguire ora è vaccinarsi. L’obbligo, davanti alle ritrosie, è l’unica arma che Israele, come tutti, ha per tornare a una normalità che non sia una falsa partenza. Altrimenti, come Sisifo, si torna indietro.
L'editoriale dell'elefantino