editoriali
Dittatura sanitaria à la cinese
Preparate le provviste, dice il governo di Pechino. La strategia Covid zero
Un comunicato pubblicato ieri sul sito del ministero del Commercio cinese avvisa le famiglie di cominciare a “fare provviste di generi di prima necessità per soddisfare la vita quotidiana e le emergenze”. L’avvertimento, piuttosto anomalo, ha generato diverse speculazioni sulle motivazioni, e sui social cinesi hanno iniziato a circolare varie ipotesi: una guerra imminente con Taiwan? Un’altra pandemia? L’Economic Daily, giornale governativo, ha esortato i lettori a non usare troppo la fantasia e ha scritto che il suggerimento sarebbe direttamente collegato con i possibili nuovi lockdown in Cina legati ai vari focolai di Covid che si stanno accendendo. La Cina, in effetti, è rimasto l’ultimo paese al mondo a perseguire la politica dei “contagi zero”, e non della “convivenza col virus”, con un modello di contenimento autoritario e poco trasparente, fatto di sorveglianza e un enorme coinvolgimento della popolazione.
A Pechino, scrive il Financial Times, è stato emesso un divieto di viaggio se non per motivi di necessità e sono stati chiusi alcuni cinema e teatri, nonostante siano stati registrati 31 nuovi contagi sin da ottobre. Disneyland Shanghai è stata messa in lockdown dopo che un visitatore, a Halloween, è stato trovato positivo al Covid. 34 mila persone sono state costrette a rimanere all’interno del parco divertimenti in attesa del tampone. In un’intervista con la Cgtn, l’epidemiologo Zhong Nanshan ha detto che questa strategia è la più conveniente per il governo in termini economici, e ha criticato chi ha “aperto tutto” per poi dover richiudere. Pechino è in un momento di enorme difficoltà perché aveva garantito ai cittadini che avrebbe sconfitto il virus in tempo per le Olimpiadi invernali di febbraio 2022, e il ritorno dei casi e dei lockdown rischiano di mettere in discussione pure l’efficacia dei vaccini made in China. Chi si preoccupa della dittatura sanitaria qui da noi, forse dovrebbe provare il modello della Repubblica popolare.
I conservatori inglesi