editoriali
Il ceo di JP Morgan sfida i comunisti cinesi ma poi chiede scusa, due volte
Quanta (inutile) accondiscendenza. Un uomo d’affari solido non si dovrebbe lasciare intimidire
"In Cina non potrei dirlo. Probabilmente mi stanno ascoltando lo stesso”. Martedì Jamie Dimon ha ricordato così durante una tavola rotonda del Boston College Chief Executives Club una battuta fatta a Hong Kong qualche giorno prima (dove il governo con una esenzione speciale gli aveva permesso di saltare la quarantena): “Il Partito comunista cinese sta festeggiando il suo centesimo anniversario. E così anche JP Morgan. Scommetto che dureremo più a lungo”. Anche se a Boston, i comunisti cinesi lo stavano ascoltando, proprio come previsto – mai mettere in dubbio la longevità del Partito di Xi Jinping – e permalosi come sempre hanno iniziato a lamentarsi sui social. “Che arrogante questo ragazzo, sembra che JP Morgan non voglia la sua licenza appena acquisita” e ancora, “Scommetto che il Partito comunista sopravviverà agli Stati Uniti. Lo capisco, il Partito ha avuto successo nella sua sfera molto più di JP Morgan. In quanto membro del Partito, non mi dispiace che la tua azienda cavalchi l’onda della sua popolarità”.
Non sono passate nemmeno ventiquattr’ore che l’accondiscendente Dimon si era già scusato per le affermazioni: “Mi dispiace, non avrei dovuto fare quel commento. Stavo cercando di enfatizzare la forza e la longevità della nostra azienda” – un solo mea culpa non bastava, poco dopo ne è seguito un altro più dettagliato. “Mi pento del mio commento perché non è mai giusto scherzare o denigrare un gruppo di persone, che si tratti di un paese, della sua leadership o di qualsiasi parte di una società e cultura. Parlare in questo modo può togliere il dialogo costruttivo e riflessivo nella società, che è necessario ora più che mai”. Forse il ceo si riferisce alla licenza ricevuta da Pechino ad agosto di assumere (per primo nella storia) la piena proprietà dell’azienda in titoli cinesi. Un uomo d’affari solido non si lascerebbe intimidire né farebbe una retromarcia umiliante sulle proprie affermazioni.