editoriali
Erdogan converte un'altra chiesa in moschea
Ankara si arrocca sull’identitarismo religioso per mascherare la crisi
Cessata l’emozione mondiale per la trasformazione di Santa Sofia a Istanbul in moschea – si era commosso anche il Papa, all’Angelus –, con tanto di copertura degli antichi mosaici cristiani davanti a un orgoglioso Recep Tayyip Erdogan, è passato sotto silenzio il fatto che quell’avvenimento memorabile (per la stampa di regime e l’elettorato conservatore) in Turchia sta divenendo la prassi. Lo scorso agosto analoga sorte era toccata alla chiesa di San Salvatore in Chora, sempre a Istanbul, trasformata in museo dopo la Seconda guerra mondiale e riconvertita ora in moschea. Alla vigilia di Natale, dopo un lungo restauro, anche la chiesa greco-ortodossa di Santa Sofia a Edirne è stata trasformata in moschea. Non più museo, come vollero cinquantasei anni fa le autorità kemaliste, ma luogo di culto per i fedeli musulmani. A tagliare il nastro, Ali Erbas, ministro per gli Affari religiosi di Ankara: “Possa Allah ascoltare le preghiere dei nostri minareti”, ha detto.
Pur ammaccato dalla crisi economica e dagli insuccessi nel vicino oriente, il neo ottomanesimo erdoganiano procede spedito lungo la propria strada: archiviati i progetti di avvicinamento all’occidente, il regime si arrocca sull’identitarismo religioso, celebrando i fasti della conquista di Costantinopoli e riproponendo il modello dell’Impero vittorioso contro gli infedeli. A pagare il prezzo più alto sono le minoranze cristiane: poco toccate dallo show dell’ex basilica di Santa Sofia (che comunque era un museo da decenni), vivono quotidianamente sulla loro pelle la difficoltà di ottenere il permesso all’apertura di luoghi di culto idonei alla preghiera. Quando arriva il nulla osta, come accaduto a Istanbul, si tratta di lasciapassare per la costruzione di chiese addossate alla pista di qualche aeroporto e comunque lontano dai centri abitati. Più che le lacrime per un museo trasformato in moschea, è questo il tema che dovrebbe scaldare di più le coscienze occidentali.
L'editoriale dell'elefantino