EDITORIALI
Il nazionalismo di Dodik è un incubo
Parole e simboli in Bosnia sono più importanti che altrove. Una brutta marcia
La scorsa settimana gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni nei confronti di Milorad Dodik, il leader serbo della presidenza tripartita dellaBosnia Erzegovina, per le “continue minacce alla stabilità e all’integrità” del paese e per alcune sue attività definite “corrotte”. Da mesi Dodik dice di voler creare un esercito serbo separatista, boicotta le istituzioni centrali costruite con un sistema molto complicato di pesi e contrappesi e con le sue parole fa tornare alla mente tormenti etnici recentissimi. Tutto è iniziato la scorsa estate, quando l’ex Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina, Valentin Izko, aveva introdotto una modifica del codice penale bosniaco prevedendo il carcere per chi nega il genocidio di Srebrenica, cosa che è piuttosto comune nell’entità serba della Bosnia Erzegovina: la Republika Srpksa.
Dodik da allora parla di secessione. Non che le condizioni ci siano al momento, ma le parole sono pericolose. Lo scorso fine settimana, la Republika Srpska ha festeggiato i trent’anni della sua fondazione, con tre giorni di celebrazioni piene di retorica nazionalista. La Corte costituzionale bosniaca nel 2015 aveva dichiarato la festa illegittima, in quanto discriminatoria verso le altre entità del paese. Ma i cortei si sono tenuti in presenza delle istituzioni del posto, di Belgrado, ma anche rappresentanti russi (inclusi i night warriors) e cinesi, e sono stati uno sfoggio provocatorio di simboli nazionalisti e divisivi, “per la croce, per la croce. Per la gloria, per la gloria”. Inoltre, Dodik in un’intervista tenuta in occasione dell’anniversario ha detto di credere in un futuro indipendente per la Republika Srpska. Il nazionalismo fa paura in ogni situazione, ma ci sono storie in cui il nazionalismo fa ancora più paura. Le sanzioni americane sono un punto di partenza: il riconoscimento del fatto che non si può lasciare che Dodik agisca e neppure che minacci di agire. Perché in quel paese bello e complesso che è la Bosnia Erzegovina, anche solo le parole, certe parole, hanno un suono più doloroso che in altri posti.
I conservatori inglesi