EDITORIALI
I repubblicani e il guaio con Putin
L’astro nascente Hawley guida il fronte dei teneri con il presidente russo
Per trovare degli oppositori del Cremlino tra i politici americani, qualche anno fa, bisognava cercarli nel Partito repubblicano, tra i John McCain e i Dan Coats per citare due senatori famosi. Negli ultimi anni però, complice la fascinazione per l’ex presidente Donald Trump, Putin è diventato un modello per alcuni politici conservatori. Qualche giorno fa il senatore trumpiano Josh Hawley, già noto per aver salutato con un pugno gli insorti del 6 gennaio, aveva affermato che l’Ucraina non doveva essere ammessa nella Nato per concentrarsi di più nel contrasto della Cina. L’ex collaboratore di Donald Trump, ancora di recente, ha espresso la necessità di prendere le parti di Vladimir Putin per “non lasciarlo alla Cina”.
A volte c’era qualcosa di più. Sappiamo dell’ammirazione personale di Donald Trump o dell’ospitata alla tv russa di Mike Pompeo, dove esprimeva ammirazione per le mosse del presidente russo nei confronti dell’Ucraina, prima dell’invasione. C’è anche chi si è spinto oltre, come il senatore Rand Paul, che ha annacquato una risoluzione bipartisan di condanna delle azioni russe in Ucraina, o come la candidata al Senato in Delaware Lauren Witzke, che ha espresso la sua condivisione dei “valori cristiani” promossi da Vladimir Putin.
Non è il solito isolazionismo. C’è qualcosa di più. Sembra che quel pezzo di mondo repubblicano che si autodefinisce “nazional-conservatore” abbia abbandonato la lotta contro la tirannia per prendere spunto e instaurare un governo autoritario anche negli Stati Uniti. Dopo l’invasione sembrerebbe che il sentimento di Mitt Romney, che definì la Russia il principale nemico geopolitico dell’America, sia tornato prevalente. C’è da chiedersi quanto questa retromarcia sia opportunistica e quanto invece l’ammirazione per un dittatore sia diventata parte integrante di questa parte politica.
L'editoriale dell'elefantino