EDITORIALI
Le parole dell'ambasciatore russo e il minaccioso linguaggio della steppa
I modi, il tono, la fraseologia di Sergey Razov ci restituiscono un’immagine di potere minaccioso e tetro come fossero gli anni 70. Invece è il 2022 a Roma, occidente
È sceso da una Mercedes scura con i vetri oscurati. A Piazzale Clodio come se fosse al Checkpoint Charlie. Nel 2022 come se fosse negli anni 70. Un’immagine di potere minaccioso e tetro, che ci ricordiamo solo in certi film che parlano al passato, come “Il ponte delle spie”. Anche la zazzera grigia, un po’ lunga, mal pettinata, sembra venire da un altrove passato, come se in trent’anni nulla fosse cambiato. Invece è oggi, era mattina, era Roma, occidente. L’ambasciatore della Russia in Italia, Sergey Razov, è sceso dall’automobile scura ed è andato in tribunale, come aveva annunciato, per sporgere querela contro un giornale italiano. Contro la Stampa, per un articolo di Domenico Quirico che il regime russo non deve aver gradito. Non si risponderà a nessuna domanda, aveva fatto sapere. Ma poi ha risposto. Ed è stata come una rivelazione. Non per le cose che ha detto, niente di più della linea ufficiale. Ma per i modi, il tono, la fraseologia: “Abbiamo teso una mano di aiuto agli italiani e se qualcuno vuole mordere questa mano ciò non fa onore”. Mordere la mano che ti ha sfamato, è un’immagine arcaica, da uomo della steppa. Ed è un modo rude, militaresco, per dare di cani agli avversari. Due anni fa l’ambasciatore aveva usato lo stesso linguaggio intimidatorio per un altro articolo, sempre del quotidiano di Torino. Il tono assertivo, la lingua quella russa, anche se Razov è in Italia da molti anni: “Come rappresentante della Russia provo vergogna e rammarico per questa caccia alle streghe che vediamo”, dice come se nessuno vedesse la caccia all’uomo in Ucraina. “Negli ultimi tempi ogni dichiarazione della parte russa viene riportata come una minaccia”, sibila come il lupo che rimprovera l’agnello. Di recente è stato da Vespa, gli chiedeva della possibile fine delle ostilità. Ha risposto in russo: “Alcuni scherzano, in modo macabro, che non si sa in che tempo uno vive se nel dopoguerra o nell’anteguerra. Io credo che queste aspettative siano gonfiate”. La Russia degli anni 70. Che allora si chiamava Unione sovietica.