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editoriali

La Brexit non è “done”, per fortuna

Redazione

Londra pensa di posticipare ancora i controlli all’import, troppo costosi

Boris Johnson, premier britannico, sta considerando la possibilità di rimandare per la quarta volta l’introduzione dei controlli alla frontiera sui beni provenienti dall’Unione europea e diretti nel Regno Unito. Alcuni ministri, scrive il Financial Times, vogliono prolungare quello che è chiamato “il periodo di grazia” oltre il primo luglio, per evitare ulteriori pressioni sulla catena di approvvigionamento già molto intense, a causa della pandemia e della guerra.

Dal gennaio del 2020, quando è entrata in vigore la Brexit, le esportazioni inglesi verso l’Ue sono state soggette a tutti i controlli previsti per i paesi terzi, mentre le importazioni sono state trattate in modo più morbido e il regime ufficiale previsto dall’accordo di divorzio tra Londra e Bruxelles che doveva entrare in vigore dal giugno del 2020 è stato posticipato prima al marzo 2021, poi al settembre dello stesso anno e infine al prossimo luglio. Gli esportatori sono furibondi e sommersi di scartoffie, soprattutto non capiscono perché i competitor europei vivono del periodo di grazia e loro invece no: i ministri dicono che introdurre i controlli adesso sarebbe “un costo autoimposto”, ma gli esportatori ribattono che i costi li stanno già pagando tutti loro. Il danno complessivo è stato stimato dall’ufficio indipendente sulla responsabilità fiscale la scorsa settimana: “Lasciare l’Ue porterà a un calo del 15 per cento di importazioni ed esportazioni rispetto a quello che sarebbe accaduto se il Regno Unito fosse ancora un membro dell’Ue”. Rishi Sunak, cancelliere dello Scacchiere a favore della Brexit, ha dovuto ammettere che la disparità di trattamento dei prodotti in entrata e in uscita è un costo, così come annullare il periodo di grazia. La Brexit non è “done” e pure gli insospettabili iniziano a sussurrare: per fortuna.