Noi abbiamo bisogno dei regimi autoritari per l'energia. Ma loro hanno bisogno di noi per tutto
Il dilemma dell'occidente che cerca di smarcarsi dalla dipendenza con la Russia è: meglio dipendere da un paese non democratico che ti minaccia, oppure da un paese non democratico e basta? La versione degli esperti
Mentre cerca di rendersi indipendente dalle risorse energetiche russe, il dilemma dell’occidente suona più o meno così: come concludere con altri paesi dai dubbi standard democratici degli accordi economicamente vantaggiosi ma anche politicamente sostenibili? Da settimane Antony Blinken sta cercando una risposta, sia pure con scarsi risultati. Il segretario di stato americano è impegnato in telefonate, viaggi ufficiali e chiacchierate informali per ricucire i rapporti con i paesi produttori di gas e petrolio del mondo arabo, ridotti ai minimi termini. Un’impresa ardua, che ha costretto Blinken a un compromesso diplomatico: Axios ha riportato l’indiscrezione di un “apologise” (che vuol dire scusarsi in inglese) che il segretario di stato avrebbe confessato il mese scorso al principe ereditario emiratino, Mohammed bin Zayed, mentre i due erano seduti su un divanetto della residenza del principe a Rabat, in Marocco. Le scuse di Blinken si riferivano al ritardo con cui gli americani avevano inviato aiuti militari agli Emirati Arabi Uniti contro gli Houthi filo iraniani. Il tutto in cambio di qualche goccia di petrolio in più e la riduzione dei prezzi.
Pur di ottenere il via libera, gli americani erano pronti a chiudere un occhio davanti agli sgarri degli Emirati, che ultimamente erano stati parecchi: la loro astensione al voto del Consiglio di sicurezza dell’Onu sull’aggressione russa in Ucraina, la porta sbattuta in faccia al generale americano Kenneth McKenzie che chiedeva un incontro al principe ereditario, quella invece tenuta aperta con tanto di tappeto rosso al dittatore siriano Bashar al Assad in visita ufficiale. Tutto sarebbe stato dimenticato. Queste concessioni però, secondo gli esperti, non porteranno Stati Uniti ed Europa a ottenere condizioni più favorevoli per i prezzi del petrolio. “Non ci sono margini di trattativa”, dice al Foglio Charles Ellinas, ceo di EC Natural Hydrocarbons, una società di consulenza nel settore energetico. “L’Opec prevede una riduzione della domanda nel 2022 e l’Agenzia internazionale dell’energia non vede particolari problemi di output al momento, quindi i paesi produttori non andranno oltre i 400 mila barili al giorno in più già promessi per i prossimi mesi”. La forza contrattuale sembra propendere tutta dalla parte del Golfo, che vede nell’oriente l’alternativa al mercato europeo: “Gran parte del petrolio di Emirati e Arabia Saudita va in paesi asiatici. In rapporto, la dipendenza occidentale dal greggio arabo è a livelli più bassi”, spiega Ellinas. Nel frattempo, l’Arabia Saudita continua a dialogare regolarmente con la Russia. Sabato, il principe ereditario Mohammed bin Salman, ritenuto il mandante dell’omicidio del giornalista dissidente saudita Jamal Khashoggi avvenuto ad Istanbul nel 2018, ha avuto un colloquio telefonico con Vladimir Putin in cui i due si sono detti d’accordo nel “garantire la stabilità del mercato petrolifero mondiale in seno all’Opec+”. Che tradotto in altri termini significa voltare le spalle alle richieste di Europa e Stati Uniti.
“L’occidente si sta muovendo come un pescatore che va in giro con la sua canna in cerca di qualcosa da pescare. Stiamo andando in giro, non sappiamo quello che troveremo”, sintetizza Alessandro Lanza, professore di Energia e Politica ambientale alla Luiss. Un punto che riguarda anche l’Italia, alla ricerca delle risorse necessarie a rendersi indipendente dalla Russia. Sul fronte petrolifero, con i prezzi già oltre i 106 dollari al barile, si rischia ora un aumento ulteriore. Domenica in Libia le milizie che sostengono il generale della Cirenaica Khalifa Haftar hanno bloccato i bacini estrattivi di el Sharara ed el Feel, oltre ai terminal portuali di Brega, Zueitina e Hariga, per costringere alle dimissioni il premier Abdulhamid Dabaiba. Da notare che il campo di el Feel è gestito dai libici insieme all’Eni e che la produzione nel paese è già molto volatile a causa della guerra. Sul fronte del gas, Eni e il governo italiano hanno invece concluso nuovi contratti con la Sonatrach in Algeria (9 miliardi di metri cubi di gas in più all’anno dal 2024, rispetto ai 22,6 miliardi importati nel 2021), e con Egas in Egitto (3 miliardi di metri cubi di Gnl in più nel 2022). A questi dovrebbero aggiungersi le forniture da Angola, Congo e (forse) Mozambico, prossime destinazioni del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in partenza domani per concludere una serie di accordi da oltre 6 miliardi di metri cubici. Ma trattandosi di paesi lontani da standard democratici accettabili, i compromessi politici per l’Italia potrebbero essere notevoli. Quando Eni ha annunciato di avere concluso il contratto con l’Egitto, il segretario del Pd Enrico Letta ha detto di avere “tantissimi dubbi”. Oltre al fatto che il gas del bacino di Zohr viene estratto in società con la russa Rosneft, c’è anche il tema dei diritti umani. “Vogliamo che il governo prenda una posizione forte nei confronti dell’Egitto”, ha detto Letta riferendosi ai dossier di Giulio Regeni e Patrick Zaki. Per altri, come il segretario di Azione Carlo Calenda, servono soluzioni rapide e concrete. “Vuoi lo stop immediato e totale al gas russo ma non vuoi il gas egiziano perché l’Egitto viola i diritti umani – ha risposto al segretario del Pd –. Hai una soluzione o facciamo solo retorica?”.
Sia l’Egitto sia l’Algeria hanno un grande bisogno di denaro. Il Cairo è colpito dall’aumento del prezzo del grano, oltre che dalla riduzione dei flussi turistici ed è in trattative con il Fondo monetario internazionale per un nuovo prestito. Algeri invece ha trovato nell’Italia il partner a cui cedere le quote di gas sottratte alla Spagna come ritorsione per la querelle sul Sahara occidentale. “In entrambi i casi l’Italia è riuscita a rivolgersi con successo a paesi che avevano già dei gasdotti attivi e a tamponare un’esigenza immediata di gas”, spiega Lanza. Ma c’è il rovescio della medaglia. Per Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni internazionali alla Cattolica di Milano, l’occidente “ha accumulato una vulnerabilità energetica ma anche una strategica, rivolgendosi sempre a paesi che erano anche potenziali minacce. Egitto e Algeria hanno degli elementi di rischio, come dimostrato dai dossier Regeni e Zaki in un caso e dalla questione della zona economica esclusiva nell’altro. Ma va anche ricordato – continua Parsi – che così come noi abbiamo sviluppato una dipendenza nei confronti di questi paesi autoritari è pur vero che loro ne hanno accumulata un’altra ancora più grande nei nostri per tutto il resto, dal punto di vista politico e militare per esempio”. A dimostrare che fra occidente e paesi produttori di idrocarburi esiste una interdipendenza reciproca c’è il dossier iraniano. Per aumentare la produzione del petrolio, molti considerano praticabile la strada di un accordo con Teheran sul nucleare che includa la sospensione delle sanzioni sulla vendita del petrolio. In numeri, ciò rimetterebbe sul mercato circa 1,3 milioni di barili al giorno riducendo i prezzi del greggio a meno di 100 dollari al barile. Se da una parte si tratterebbe di un’altra “alleanza problematica” con un paese che ha dimostrato a più riprese di violare ogni regola internazionale, dall’altra Teheran ha tutto l’interesse di uscire dal sistema di sanzioni e normalizzare le sue relazioni economiche e politiche. Certo non sarà semplice trovare un’intesa, che per Europa e Stati Uniti somiglia più a un esercizio di equilibrismo politico, fra la riapertura all’Iran e la continua rassicurazione degli storici alleati, Emirati e Arabia Saudita, che temono invece di essere lasciati da soli contro Teheran.
Per l’occidente, l’antidoto alla volatilità politica ed energetica esiste ed è quello della transizione energetica. “Ridurre la dipendenza dalle fonti fossili è l’unico modo per diminuire i rischi geopolitici legati alla dipendenza dal mondo arabo”, spiega Ellinas. Nel frattempo, non resta che affidarsi a soluzioni tampone, accettando compromessi politici. Secondo Parsi, è tutta qui la lezione che l’occidente deve trarre dall’aggressione russa in Ucraina: “E’ meglio dipendere da un paese non democratico che ti minaccia, oppure da un paese non democratico e basta? Purtroppo nel breve periodo non abbiamo scelta”.