editoriali
Il burqa del terrore
Il regime talebano nega dignità e sicurezza all’Afghanistan. No, non è cambiato
Dignità e sicurezza. Ha usato queste parole, queste motivazioni, il regime talebano a Kabul per reintrodurre l’obbligo a indossare il burqa, il velo completo per le donne, riportando l’Afghanistan indietro di vent’anni – i vent’anni della guerra dell’occidente al terrorismo e all’oscurantismo talebano che sempre l’occidente ha voluto frettolosamente chiudere l’estate scorsa. Lo sfregio di quel ritiro da un progetto di ricostruzione e democratizzazione nato dalle ceneri delle Torri gemelle resterà per sempre nelle coscienza occidentale: dicevamo “esportare la democrazia” e abbiamo smesso di dirlo perché ogni volta risuonano pernacchie feroci, ma avremmo potuto dire “dignità e sicurezza” e il senso sarebbe stato lo stesso. Oggi i talebani straziano questi termini, questi significati e impongono la loro dignità, che è fatta di annichilimento, e la loro sicurezza che non esiste, perché l’Afghanistan oggi non è più sicuro, non è nemmeno più stabile, è soltanto più buio, dello stesso nero che c’era alla fine degli anni Novanta, il nero che ancora oggi marca le bandiere del terrorismo, e il burqa delle donne afghane.
Il ritiro dall’Afghanistan viene oggi utilizzato dai nemici dell’occidente per dire: c’è poco da fidarsi, gli imperialisti americani quando si stufano o non hanno più interesse tornano a farsi gli affari loro, abbandonano i loro alleati. E’ il simbolo del fallimento del nostro modello. E molti in questa nostra libera e tormentata parte di mondo sono riusciti a dire allo stesso tempo: è vero, siamo un fallimento, ma anche proviamo a fidarci dei talebani. Stiamo scoprendo in Ucraina che la democrazia è un progetto a lungo termine che va salvaguardato a ogni curva: la stanchezza, la distrazione, la resa non sono contemplate.