Guerra in Ucraina, lo speciale per i primi 100 giorni

a cura di Francesco Dalmazio Casini e Mariarosa Maioli

Sono passati oltre tre mesi da quando le truppe russe hanno invaso il territorio ucraino, provocando migliaia di vittime e milioni di profughi. Dalle atrocità sul campo di battaglia alla resistenza di Kyiv, fino alle conseguenze economiche e alla risposta dell'occidente: abbiamo ripercorso il conflitto e i momenti che hanno cambiato la storia

Sono passati più di tre mesi dall'inizio dell'invasione: le foto delle città bombardate, da Kherson a Odessa passando per Mariupol, le immagini e i reportage sui crimini da parte dei soldati russi e le conseguenze economiche e geopolitiche delle scelte del Cremlino hanno provocato la ferma risposta dell'occidente, che da fine febbraio segue con apprensione gli svolgimenti della guerra. La mappa del ministero della difesa inglese mostra gli sviluppi sul campo, l'avanzata russa della prima fase e la successiva ritirata nella parte sudorientale dell'Ucriana dopo in queste ore sicontinua a combattere aspramente.

In questi primi e lunghi 100 giorni del conflitto le alleanze si sono polarizzate mentre sul territorio ucraino si sono susseguite varie fasi. All'invasione è seguita le resistenza, sostenuta dalla Nato e dai paesi occidentali, che ha stupito l'avversario per la prontezza di risposta; poi i russi hanno ripreso il controllo continuando ad avanzare e conquistando le zone strategiche del paese. Abbiamo raccolto gli articoli più significativi pubblicati dal Foglio per ricostruire gli aspetti principali di questi 100 giorni.

 

Da quando Putin ha deciso di avviare l'”operazione speciale” in Ucraina, la “denazificazione” delle zone in cui l'esercito russo ha compiuto la sua avanzata è stata utilizzata come giustificazione alle devastazioni e alle razzie di ogni genere.

In questi 100 giorni di guerra abbiamo visto le fotografie di Bucha, poi di Mariupol e di tutti i paesi in cui gli invasori hanno lasciato il segno. Le immagini hanno riempito le prime pagine dei giornali come documentazione della brutalità russa: a Bucha le fosse comuni, le esecuzioni sommarie ai civili, i corpi lasciati lungo la strada sono stati gli elementi che hanno confermato i crimini di guerra attuati dai russi.

La città di Mariupol è diventata il simbolo dell'invasione, dove le strade e i palazzi hanno velocemente cambiato volto dopo il passaggio delle truppe russe che non hanno risparmiato gli edifici civili, come l'ospedale pediatrico, il teatro entro cui si erano rifugiate 1.200 persone e di cui si stima che almeno 600 siano state colpite dal raid del 16 marzo. Poi l'instancabile assedio alle acciaierei Azovstal, dove il battaglione Azov ha combattuto strenuamente fino alla fine per mantenere il controllo della zona strategica capitolando il 17 maggio e portando con sè un (ancora) incalcolabile prezzo umano. Non solo bersagli civili: quello che i russi non hanno devastato, se lo sono portati via. Anche le opere d'arte dei musei di Melitopol e di Mariupol sono state trafugate e ora non si sa dove siano: oltre 2.000 pezzi unici sono stati rubati. Un bilancio in aumento se si considerano i saccheggi nelle abitazioni private, il metallo depredato e gli enormi carichi di grano che in attesa di poter partire dai porti verso l'Europa sono stati rubati e rivenduti dai russi.


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A fare da contraltare agli aggressori, ci sono gli aggrediti. Molti ucraini in questi cento giorni sono scappati, altri sono rimasti vittime della guerra, ma tanti altri hanno resistito. Più di quanto chiunque avrebbe immaginato prima che la guerra iniziasse. 

Gli ucraini hanno rafforzato la loro coesione intorno alla figura di Volodomyr Zelensky e continuano a mostrarsi forti nonostante le fatiche delle ultime settimane e la loro inferiorità numerica e militare rispetto ai russi. Si è parlato di eroismo e di resistenza partigiana anche perchè, oltre agli aiuti militari occidentali, soprattutto nelle prime settimane di invasione molti cittadini hanno tentato di difendere ogni centimetro di terra con qualsiasi mezzo rumedimentale, dai trattori alle molotov. Ancora oggi ciò che muove i milioni di ucraini rimasti a combattere è la volontà di difendere la propria storia e la democrazia per la quale non intendono sottomettersi al regime di Putin.

Per questo la resistenza ucraina è diventata la resistenza di tutta l'Europa e dell'occidente, che hanno scelto di armare e sostenere questa controffensiva. Ricostruire, ripartire, cercare di riparare i danni e soprattutto organizzare l'ingresso dello stato assediato nell'Ue. Come ha affermato il filosofo ucraino Costantin Sigov a Le Figaro: "Noi ucraini non vogliamo la russofobia, reclamiamo giustizia”.

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In cento giorni di guerra in Ucraina, l’occidente ha dato prova di grande capacità di reazione. Sei sono stati i pacchetti di sanzioni approvati dall’Unione europea, mentre le forniture di armi inviate dai paesi dell’alleanza atlantica ammontano a decine di miliardi di euro. Misure che sono state imposte, nella gran parte dei casi, con rapidità, a partire dal 23 febbraio, subito dopo il riconoscimento da parte di Putin dell’indipendenza delle repubbliche separatiste del Donbas. Gli ultimi pacchetti di sanzioni mostrano che l’Ue ha infranto il tabù energetico, colpendo, seppur gradualmente, l’export di carbone e petrolio russo.

Così i 27 hanno raggiunto Stati Uniti e Regno Unito, che avevano abbandonato le forniture russe nelle prime settimane del conflitto. Al netto delle concessioni fatte ai paesi più restii come l’Ungheria, la risposta delle sanzioni è stata molto più marcata rispetto al 2014, quando le forze russe occuparono la Crimea. Altrettanto storiche sono state le decisioni sull’invio di armi che tutti i paesi Nato hanno fornito alle truppe di Kyiv, senza le quali sarebbe stato impossibile respingere l’invasione russa. Adesso, con l’annuncio dell’invio dei lanciarazzi Himars/Mlrs che l’amministrazione Biden ha approvato, l’Ucraina potrebbe colmare lo svantaggio in termini di artiglieria che sta determinando grandi difficoltà nel tenere a freno l’offensiva russa in Donbas. Non solo l’occidente si è schierato compattamente a sostegno di Kyiv, ma ha preso la guerra come un’occasione per rinnovarsi e rafforzarsi. L’intenzione di Svezia e Finlandia di entrare a far parte dell’Alleanza, al netto del veto strumentale di Erdogan, dimostrano che la crisi irreversibile del sistema occidentale esiste più nella propaganda russa che nella realtà.

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Cento giorni di guerra sono già costati cari all'economia della Russia. Secondo le stime della banca centrale russa, l’economia del paese andrà incontro a un calo compreso tra otto e dieci per cento per il 2022, con la possibilità di chiudere con segno meno (fino a tre punti) anche il 2023. L’inflazione arriverà invece a toccare cifre vicine al 20 per cento. Sono prospettive fosche, ma l’impatto delle sanzioni riguarderà direttamente anche ciò che i cittadini russi potranno o non potranno fare. Il blocco dei voli diretti con la Federazione, il divieto per le compagnie di sorvolare lo spazio europero e il blocco dei circuiti bancari rischiano di riportare il paese alle condizioni di isolamento dell’Urss. Per non parlare dei beni di consumo e dei servizi di tutte quelle compagnie che hanno già lasciato Mosca, il cui reperimento diventerà sempre più difficile, se non impossibile.

Non solo. Oltre all'impoverimento economico, la Russia ha anche subìto un impoverimento sociale perché in molti hanno deciso di lasciare il paese. Un capitale sociale che ha rinunciato a vivere in un clima di repressione e isolamento culturale.

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