editoriale
L'Ue ora corteggia Taiwan
Taipei produce il 90 per cento del fabbisogno globale di microchip più sofisticati, e Bruxelles ha un bisogno disperato di trovare nuove fonti di approvvigionamento, più sicure e immediate
L’altro ieri a Bruxelles è andato in scena un summit che ha avuto poca eco mediatica, ma che in realtà svela molte delle trasformazioni che la politica estera dell’Unione europea sta portando avanti sin dall’inizio della pandemia, e accelerate dopo l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia. La direttrice generale del commercio europeo, Sabine Weyand, e la sua controparte taiwanese, Mei-Hua Wang, hanno tenuto per la prima volta un summit di livello ministeriale sugli scambi commerciali tra l’Unione e l’isola de facto indipendente e rivendicata da Pechino.
Con Taiwan, l’Ue vuole parlare soprattutto di microchip e semiconduttori: Taipei produce infatti il 90 per cento del fabbisogno globale di microchip più sofisticati, e Bruxelles ha un bisogno disperato di trovare nuove fonti di approvvigionamento, più sicure e immediate. A febbraio la Commissione europea aveva annunciato lo European Chip Act per investire sulla produzione europea e ridurre l’articolata catena di produzione e di trasporto dei microchip, e già da tempo sta corteggiando Taiwan, che attraverso il suo colosso Tsmc dovrebbe costruire nuovi impianti in Europa (si parla di un possibile impianto in Germania, ma forse anche in Italia).
Tutto ciò che riguarda Taiwan, però, non riguarda mai soltanto il business. La Lituania, per aver aperto un ufficio di rappresentanza di Taiwan a Vilnius, si è trovata a far fronte a un violento boicottaggio economico da parte della Cina. E anche ieri, dopo il summit Ue-Taiwan, il portavoce della missione di Pechino a Bruxelles ha fatto sapere che “la Cina si oppone fermamente a tutte le forme di interazione ufficiale con Taiwan da parte di paesi che hanno legami diplomatici con la Cina”. Ma ormai l’atteggiamento a Bruxelles è quello di tenere il più a lungo possibile sospeso il dialogo commerciale con la Cina e aprirsi ad alternative più sicure. Intanto la crisi dei microchip sarà sempre più grave, da quando la Russia ha invaso l’Ucraina: Mariupol e Odessa erano le sedi di due dei più grandi impianti di produzione di neon, un pezzo fondamentale per produrre i chip.