editoriali
Israele ha un nuovo primo ministro: Yair Lapid
Il leader di Yesh Atid, partito di centro sinistra, è stato il tessitore della coalizione nata dalle ultime elezioni. Il rischio di una nuova campagna elettorale costruita sul tutti contro Bibi invece che sul dare stabilità alla politica dello stato ebraico
Da domani, Israele avrà un nuovo primo ministro, Yair Lapid, leader di Yesh Atid, partito di centro sinistra. Lapid è stato il tessitore della coalizione nata dalle ultime elezioni, ha saputo attrarre Naftali Bennett, leader, ormai ex, di Yamina, partito religioso di destra. Lapid continuerà a essere ministro degli Esteri e ha salutato Bennett, politicamente molto diverso da lui, chiamandolo “fratello Naftali”. La Knesset ha stabilito che il prossimo voto, il quinto in tre anni, sarà il primo novembre e fino ad allora sarà Lapid a guidare il governo e, nello stesso tempo, la sua campagna elettorale che avrà un rivale su tutti: Benjamin Netanyahu.
Bennett e Lapid condividevano il piano di dimostrare che Netanyahu non è l’unica possibilità per Israele, e hanno provato a dimostrare che una coalizione multicolore, dall’estrema destra all’estrema sinistra, potesse funzionare e dare al paese un nuovo corso, anche con la collaborazione di un partito arabo.
Bennett non si ricandiderà. Ha lasciato il partito ad Ayelet Shaked, ministro dell’Interno, e alle prossime elezioni potrebbe scendere sotto alla soglia per entrare alla Knesset. Si vocifera già che Yamina possa tornare ad allearsi con il Likud di Netanyahu, annullando di fatto quanto costruito da Bennett e Lapid insieme.
Lapid invece avrà un palcoscenico privilegiato per la sua campagna elettorale, sarà lui al fianco del presidente americano Joe Biden a presenziare a incontri storici sul futuro delle relazioni tra Israele e i paesi del medio oriente. Sulla guerra in Ucraina è sempre stato più duro nei confronti della Russia rispetto a Bennett e anche questo potrebbe aiutarlo con Biden. Lapid ha detto che quello con Bennett è solo un arrivederci, che continueranno insieme perché “il lavoro è più grande di tutti noi”. Ed è vero, il rischio però è che la lotta politica diventi ancora una volta un agone personale, un Lapid contro Netanyahu, un noi contro lui, e possa nascere una nuova coalizione legata soltanto dalla necessità di cacciare o aiutare Bibi e non di dare stabilità alla politica di Israele.
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