editoriali
Budapest riceverà più gas da Mosca. Ma i fondi europei sono a rischio
Il Recovery ha delle condizioni: una è il rispetto dello stato di diritto. La Commissione ha fatto sapere che Orbán ha un mese di tempo per rispondere alle sue preoccupazioni
Sorridono sprezzanti il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, e il collega ungherese, Péter Szijjártó, dopo il loro accordo che garantisce a Budapest forniture addizionali di gas dalla Russia. Szijjártó è di casa a Mosca – non è più così naturale vedere un leader europeo alla corte di Vladimir Putin – perché qualche settimana prima dell’invasione in Ucraina aveva ricevuto la prestigiosa onorificenza dell’Ordine dell’Amicizia, e così ha voluto rinnovare questo legame tenendo sempre aperti i canali di comunicazione con la Russia, ripetendo che l’Ungheria non ha mai avuto intenzione di affrettarsi a interrompere la dipendenza energetica: troppo costoso, meglio non alzare la voce contro Putin né inventarsi capriole di compensazioni impossibili.
Formalmente questa posizione viene definita dal governo di Viktor Orbán neutrale, ma è filorussa, in contrasto con la comunità di cui l’Ungheria fa parte, quella europea, e in contrasto anche con l’alleanza più stretta che questo paese ha, Visegrád, assieme agli altri paesi dell’est europeo, schierati senza infingimenti dalla parte dell’Ucraina e dell’Ue. Ma come è già accaduto in passato, il nazionalismo di Orbán fa sì che, in nome di un pragmatismo opportunista, si spezzi l’unità europea contro la Russia, cosa che oggi risulta ancora più problematica visto che Putin usa il gas come arma proprio per dividere i paesi europei, alle prese con controversi tagli al consumo.
Il premier ungherese sa che rischia e infatti, senza farsi troppo vedere da Mosca, ha adottato una strategia meno ostile nei confronti di Bruxelles perché vuole i soldi del Recovery fund. La Russia è ben più pragmatica dell’Ungheria: la usa come cliente, non le ripiana i conti. I fondi del Recovery però hanno delle condizioni, una è il rispetto dello stato di diritto. La Commissione ieri ha fatto sapere che Orbán ha un mese di tempo per rispondere alle preoccupazioni della Commissione: se non lo farà, i soldi non arriveranno.