editoriali
Salvare il grano con il capitalismo
Il pluralismo cerealicolo è un grande alleato contro Putin. Lezioni americane
C’è una stagione straordinariamente buona per il grano estivo (seminato in primavera) e i piani degli affamatori mondiali, cioè Vladimir Putin and friends, potrebbero cadere a causa di questa specie di pluralismo cerealicolo, di una coltivazione minoritaria e forse di minore qualità ma mai abbandonata dai produttori del nord degli Stati Uniti e soprattutto del Canada.
Le indicazioni che arrivano dai campi sono molto incoraggianti e il raccolto supererà le attese. La curiosità definitiva ce la leveremo presto, perché le semine primaverili danno spighe pronte in tempi brevi, per alcune varietà addirittura solo 100 giorni e comunque la raccolta non supera l’inizio dell’autunno, anche per lasciare spazio alla semina del grano invernale. Con la raccolta in eccedenza rispetto alle medie, il grano estivo contribuirà a calmierare i prezzi e diventerà un efficace strumento di pronto intervento per sostenere i paesi con necessità vitali di importazione. La qualità, misurata in termini di proteine contenute in quantità fisse, è leggermente inferiore, ma c’è sia il grano tenero sia quello duro.
La lezione è che la varietà della natura assieme all’iniziativa capitalistica e all’uso di tecniche avanzate di coltivazione e di protezione dai parassiti vincono contro la pianificazione della prepotenza e contro l’uso strumentale delle risorse alimentari. La stagione è eccezionale anche malgrado le condizioni climatiche e grazie a semi studiati per produrre piante specialmente resistenti alla siccità e al caldo. Si può notare come anche in questo caso il contenimento della protervia militare russa sia realizzato dagli Stati Uniti in prima linea, come sta avvenendo per le armi e l’insegnamento delle tecniche militari agli ucraini. La capacità produttiva nella difesa assieme alla forte volontà politica sono state decisive per resistere alle prove di carestia programmata, è ancora al Nord America e alla intraprendenza del suo sistema produttivo che bisogna guardare. Per l’Europa, incapace di ragionare in termini strategici e imprigionata con i suoi gasdotti, è una doppia lezione.