editoriali
Il governo francese contro i sindacati
I dipendenti di TotalEnergies ed Esso-ExxonMobil da settimane tengono bloccato l’accesso ai depositi di carburante. Dopo giorni di appelli alla responsabilità, l’esecutivo di Parigi annuncia la precettazione. Il dialogo avanza, dice la premier
Per mettere fine allo sciopero massiccio dei dipendenti di TotalEnergies ed Esso-ExxonMobil, che da tre settimane tengono bloccato l’accesso ai depositi di carburante, il governo francese ha annunciato la precettazione. “Come permesso dalla legge, ho chiesto ai prefetti di procedere alla precettazione del personale indispensabile al funzionamento dei depositi Esso-ExxonMobil”, ha dichiarato ieri pomeriggio all’Assemblea nazionale il primo ministro francese, Élisabeth Borne (il provvedimento, per ora, non riguarda i dipendenti di Total).
Dopo giorni di appelli alla responsabilità, l’esecutivo di Parigi passa dunque alle maniere forti, dato che lo sciopero a oltranza sta causando una grave penuria di benzina in un terzo delle stazioni di servizio. Ma alcuni sindacati, che invocano un aumento dei salari di base per compensare l’inflazione e condividere i profitti dei due colossi degli idrocarburi post crisi energetica, non hanno intenzione di mollare. “Andremo in tribunale per fare annullare le precettazioni”, ha assicurato Eric Sellini, coordinatore della Cgt per TotalEnergies.
Le due raffinerie Esso di Notre-Dame-de-Gravenchon (Senna Marittima) e Fos-sur-Mer (Bocche del Rodano) hanno votato ieri la proroga dello sciopero accogliendo l’appello della Cgt e di Fo, i due sindacati più oltranzisti, nonostante la firma, lunedì, di un accordo salariale tra le due organizzazioni sindacali maggioritarie nel gruppo Esso-ExxonMobil, ossia la Cfdt e la Cfe/Cgc (per Total, le trattative sono ancora in corso). L’accordo proposto dalla direzione di Esso-ExxonMobil, e firmato dai due sindacati riformisti, prevede un aumento del 6,5 per cento degli stipendi nel 2023, accompagnato da un bonus di 3.000 euro. Per Cgt e Fo, è troppo poco: la loro richiesta è un aumento del 7,5 per cento più un bonus di 6.000 euro. “Il dialogo sociale è avanzato, una maggioranza si è espressa”, ha detto la premier Borne. Ma i sindacati fanno finta di nulla.