editoriali
La pace non vuole inchini
All’interno del mondo pacifista si fanno avanti voci critiche contro la retorica senza verità
Gli indizi che si ripetono diventano qualcosa di più significativo, indicano una cambiamento. Non è la prima volta che dal mondo genericamente definito “del pacifismo” – fatto di molte sensibilità diverse e di un’infinità di sigle – emergono posizioni differenti e contrapposte rispetto al “che fare?” in Ucraina. Era accaduto per le due manifestazioni, di indole diversa, indette a Roma – una la settimana scorsa davanti all’ambasciata russa, la seconda sarà il 5 novembre – e accade ora dopo l’“appello degli intellettuali” pubblicato dal Fatto: quello che ieri sul Foglio Adriano Sofri ha smantellato come un appello “che vuole solo piegare l’intransigenza di Kyiv”. Ieri sul sito del magazine Vita.it è apparso un commento dal titolo assai chiaro: “Cari pacifisti, non basta chiedere la pace”.
La firma era quella di Nino Sergi, personalità conosciuta nel mondo del volontariato e fondatore della ong Intersos, attiva negli scenari di crisi di 19 paesi. Nel testo non si fa cenno all’appello, ma si leggono giudizi precisi: “Non basta che le manifestazioni denuncino l’aggressore… Non bastano i ‘Putin si ritiri’ di alcuni o gli ‘Zelensky si fermi’ di altri (quasi fossero intercambiabili!) o i ‘basta inviare armi’”. Servono “idee e proposte che aiutino le piazze a capire come e a quali condizioni poterci arrivare”, alla pace. La strada è lunga, dice Sergi, e passa come primo risultato da un cessate il fuoco: ma “concordando condizioni che non favoriscano l’aggressore, proteggano e garantiscano l’aggredito e suscitino al contempo l’interesse di tutte le parti in causa”.
Niente cedimenti e niente confusioni concettuali tra cosa sia “pace” e cosa invece accettazione del sopruso. Questo pur senza fare sconti alle responsabilità di un “mondo unipolare… che ha fatto prevalere la propria superiorità e arroganza”. Si possono avere legittime posizioni e letture storiche diverse, è ovvio. Ciò che è importante è che dal mondo di chi si impegna per la pace provengano giudizi di verità in grado di smentire una retorica falsificante, anche se ammantata di buone intenzioni.