gli incontri segreti a Damasco
Putin sacrifica qualcosa in Siria per rinforzarsi in Ucraina
Mentre emergono connessioni sospette fra l’Onu e il Cremlino sugli aiuti umanitari a Damasco, i russi spostano gli S-300 in Donbas
Akjemal Magtymova, direttrice dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in Siria, un’agenzia delle Nazioni Unite, era solita incontrare di nascosto militari russi stanziati a Damasco a sostegno del regime, violando la neutralità dell’organizzazione. Di cosa parlassero non è noto, ma si sospetta che l’oggetto degli incontri fosse la gestione degli aiuti umanitari e dei finanziamenti per la ricostruzione. Dopo anni di sospetti, ora alcuni dipendenti hanno denunciato questo e molto altro in uno scoop pubblicato giovedì da Associated Press. Le testimonianze sull’operato di Magtymova rivela diverse violazioni che mettono in imbarazzo l’Onu. Dal maggio del 2020, la direttrice ha sottratto all’organizzazione migliaia di dollari in cene e feste organizzate in hotel prestigiosi come il Four Season di Damasco per celebrare sé medesima e i presunti risultati conseguiti. Presunti, perché all’epoca dei fatti la Siria era (ed è ancora) uno dei paesi al mondo con le scorte di vaccini anti Covid più scarne e con appena l’1 per cento della popolazione vaccinato. Nonostante la guerra e la pandemia, Magtymova era già passata alle cronache nel dicembre dello stesso anno per avere coinvolto un centinaio di funzionari dell’Oms in un flash mob condiviso sui social dell’organizzazione, con tanto di musica e balletti. La spensieratezza sfacciata che si respirava nell’agenzia era tutelata da un sistema di corruzione di cui Magtymova sarebbe stato un ingranaggio essenziale. Secondo le accuse rivolte dai dipendenti dell’organizzazione, in due anni di servizio la direttrice ha assunto diversi parenti di uomini legati al regime di Assad e si è prodigata in “favori” fatti ad alti funzionari del governo di Damasco, alcuni dei quali coinvolti “in una serie infinita di violazioni dei diritti umani”.
La condotta di Magtymova è il culmine di un sistema, quello delle Nazioni Unite in Siria, che da tempo è accusato di corruzione e inefficienza. La settimana prossima sarà presentata a Washington l’ultima di queste indagini, stilata dal Syrian Legal Development Program e dall’Observatory of Political and Economic Networks. Una piccola anticipazione svela uno scenario grave: tra il 2019 e il 2020, il 46,6 per cento dei finanziamenti stanziati dalle Nazioni Unite è finito a fornitori con rischio alto o molto alto di associazione al regime. Il 23 per cento di questi servizi veniva realizzato da individui sottoposti a sanzioni americane, britanniche ed europee perché coinvolti in violazioni dei diritti umani o sotto indagini per crimini di guerra.
Sull’utilizzo dei fondi per la ricostruzione e gli aiuti umanitari, la Russia ha un ruolo notevole. Si sospetta che durante i loro incontri segreti, Magtymova e gli ufficiali russi parlassero proprio di questo argomento. Mosca ha sempre sostenuto che gli aiuti dell’Onu sarebbero dovuti essere versati direttamente nelle casse del regime di Damasco, e da questo alle varie realtà sul territorio. Una proposta respinta dagli altri membri del Consiglio di sicurezza, che non vogliono affidare ad Assad la libertà nella gestione degli aiuti umanitari. Come ritorsione, nell’ultimo anno la Russia ha ostacolato il rinnovo della risoluzione che autorizza il flusso di aiuti al confine di Bab al Hawa fra Siria e Turchia. Alla fine, lo scorso luglio, i russi hanno tolto il veto e la missione umanitaria – essenziale per migliaia e migliaia di sfollati a causa della guerra – è stata rinnovata, anche se solamente per un periodo transitorio di sei mesi.
Nonostante l’influenza esercitata da Mosca sul regime di Assad, adesso Vladimir Putin potrebbe essere costretto a ricalibrare il suo sostegno militare. Secondo alcuni diplomatici sentiti dal New York Times, i russi avrebbero spostato il sistema missilistico S-300 dalla Siria al fronte ucraino assieme a due battaglioni di circa 1.500 uomini. La decisione potrebbe avere un impatto notevole in Siria, perché gli S-300 finora sono stati la principale arma usata da Mosca per limitare le incursioni dei caccia israeliani contro le postazioni del regime siriano e degli iraniani. Secondo la stampa israeliana, la rimozione degli S-300 potrebbe cambiare gli scenari anche in Ucraina. Israele non avrebbe più da temere ritorsioni russe in Siria nel caso in cui decidesse di fornire armi a Kyiv, ipotesi finora scartata dallo stato ebraico. Si tratta solamente di congetture, perché nel frattempo i russi mantengono il controllo di altre basi militari – compresa quella navale di Tartus – e di altri sistemi missilistici come gli S-400.