Editoriali
Budapest cede all'Ue sullo stato di diritto
Orbán è pronto a una riforma della giustizia pur di avere i soldi del Recovery fund
Dopo la Polonia, anche l’Ungheria di Viktor Orbán sta cedendo alle pressioni dell’Unione europea sullo stato di diritto, impegnandosi a lanciare una riforma della giustizia per non perdere 5,8 miliardi di euro dal Recovery fund. Il braccio di ferro è in corso da quasi un anno e mezzo. Fino alla fine dell’estate Budapest aveva rifiutato di seguire le raccomandazioni dell’Ue sullo stato di diritto (lotta alla corruzione, sistema degli appalti e indipendenza della giustizia), malgrado sia una delle condizioni per accedere al Recovery fund. Il tempo sta scadendo: se la Commissione e gli altri stati membri non daranno il via libera al Pnrr entro la fine dell’anno, le risorse allocate all’Ungheria verranno meno. Sul governo Orbán pende anche la minaccia di una sospensione di 7,5 miliardi di fondi di coesione dell’Ue attraverso il meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto.
L’Ungheria sta attraversando una crisi valutaria: Orbán paragona l’Ue all’Unione sovietica, ma “pecunia non olet”. Se effettivamente il suo governo metterà in atto le riforme promesse, Bruxelles sarà riuscita ad arginare almeno in parte la sua deriva illiberale. Il governo ungherese dovrebbe rafforzare il ruolo del Consiglio nazionale giudiziario e modificare il funzionamento della Corte suprema. Dovrebbero anche essere cancellati gli ostacoli legali per i ricorsi davanti alla Corte di giustizia dell’Ue. Le promesse sull’indipendenza della giustizia si aggiungono ad altri impegni nella lotta alla corruzione e negli appalti. La Commissione dovrebbe approvare il Pnrr ungherese il 22 novembre, consentendo all’Ecofin di dare il via libera definitivo a inizio dicembre. Ma, come nel caso della Polonia, non ci saranno esborsi all’Ungheria fino a quando le riforme promesse non saranno implementate. Se c’è un insegnamento dal braccio di ferro degli ultimi anni sullo stato di diritto, è che dei populisti al governo a Budapest e Varsavia non ci si può fidare.
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