editoriali
Berlino ha un guaio di cittadinanza
Il reddito viene bocciato al Bundestag, che chiede al governo: riscrivilo meglio
Anche la Germania si divide sul reddito di cittadinanza e sui criteri per la sua allocazione. A scontrarsi sono state la maggioranza “semaforo” del cancelliere Olaf Scholz e l’Unione Cdu-Csu, che per la prima volta dal 2022 è riuscita a impallinare un progetto governativo. Era stato il ministro del Lavoro Hubertus Heil, un fedelissimo di Scholz, a presentare un ddl per l’introduzione del Bürgergeld: il progetto è un po’ il fiore all’occhiello della coalizione costituita da socialisti, Verdi e Liberali per il 2022, dopo un anno dedicato a discutere quasi solo della guerra della Russia contro l’Ucraina e delle sue conseguenze. Heil ha disegnato un ddl per sostituire il vecchio sussidio Hartz IV per i disoccupati di lungo corso con uno strumento nuovo, più universale e dal nome più comprensibile.
Il Bundestag, dove il governo ha la maggioranza, ha approvato subito l’aumento del sussidio per il singolo disoccupato da 449 a 502 euro al mese. Sul punto neanche l’Unione ha avuto nulla da obiettare: non è invece andata giù l’idea di un ammorbidimento delle sanzioni che gli uffici di collocamento oggi possono comminare ai disoccupati renitenti all’impiego.
Hai un appuntamento con il Job Center e non ti presenti? C’è un lavoro che fa per te ma lo rifiuti? Oggi scatta una sanzione pecuniaria, scomparsa invece nel progetto di Heil per i primi sei mesi di erogazione del Bürgergeld. Secondo l’Unione la novità ridurrebbe gli incentivi ad accettare un lavoro, tanto più che a fronte di un generale aumento del valore dei sussidi non trovare un impiego grazie al Bürgergeld “è quasi redditizio come lavorare”. Scholz non ha però ascoltato le critiche dell’opposizione e questa, come promesso, ha finito per bloccare il progetto al Bundesrat, la camera dei 16 länder. Il ddl passa ora al vaglio di una commissione mista Bundestag-Bundesrat ma il messaggio della Cdu è chiarissimo: stato sociale sì, aiuti a chi non si dà da fare no.
L'editoriale dell'elefantino