Editoriali
Le forzature sulla detenzione di Kaili sembrano non disturbare nessuno
Per una volta gli incivili giuridici non siamo noi: ma non è una consolazione
Dopo 28 giorni di carcere l’eurodeputata greca Eva Kaili, arrestata all’inizio dell’indagine sul Qatar gate (che, en passant, sembra segnare un po’ il passo, nonostante la sicumera iniziale del magistrato d’assalto Michel Claise) ha potuto incontrare la figlia di 22 mesi. E fin qui, per quanto il fatto sia esecrabile, la procedura è stata rispettata, come ha ammesso anche il suo avvocato. Più difficile non riconoscere che ci sia un’evidente forzatura delle procedure su un altro e più decisivo aspetto. Aspetto che purtroppo, nel nostro paese culla della inciviltà giuridica, siamo abituati a conoscere.
Ha detto l’avvocato di Kaili, Michalis Dimitrakopoulos, intervistato dal Corriere: “Mi sono fatto l’idea che probabilmente non le permettevano di vedere la bambina per farle pressione affinché confessasse, ammettesse di aver commesso qualcosa”. La carcerazione preventiva per ottenere una confessione (come suo diritto, Kaili finora ha rifiutato ogni addebito) è una forzatura paragonabile alla tortura (nel nostro ordinamento, il carcere preventivo richiede, sommati, il pericolo di fuga e di inquinamento delle prove). Ma evidentemente, nel cancan di un’inchiesta per ora ferma allo stato politico-mediatico, la pratica è accettata anche in Europa e non solleva particolari obiezioni e il giudice-romanziere Michel Claise continua a godere fama di castigamatti di successo (“Il Belgio è un Paese corrotto. O i politici non lo capiscono. Oppure sono corrotti”, aveva detto tempo fa, con piglio à la Davigo).
Nonostante Claise abbia ammesso nell’udienza del 22 dicembre, come riporta l’avvocato Dimitrakopoulos “di non avere le prove che sostengono l’accusa di corruzione contro Eva Kaili”. Ha commentato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle camere penali: “In un paese civile, che fonda cioè il proprio patto sociale sull’habeas corpus, sulla presunzione di innocenza, sull’onere probatorio, non dovrebbe essere consentito che accada quel che sta accadendo in Belgio”. Per una volta gli incivili giuridici non siamo noi, ma non è una consolazione.