Editoriali
Pechino sostiene i talebani. Un nuovo accordo per il petrolio
La Cina non riconosce ufficialmente il regime, ma sta facendo di tutto per far tornare gli accordi commerciali con Kabul vicino alla normalità. Con buona pace dei diritti umani e delle libertà
Il primo riconoscimento informale del regime dei talebani in Afghanistan arriva dalla Cina. E’ stato firmato ieri a Kabul il contratto più importante per i talebani sin dalla riconquista del paese nel 2021, tra il governo estremista e l’azienda cinese Xinjiang Central Asia Petroleum and Gas (meglio conosciuta come Caipec). Secondo il cosiddetto “ministro delle Miniere” di Kabul, Shahabuddin Dilawar, l’accordo porterebbe 150 milioni di dollari all’anno in investimenti cinesi per l’estrazione di petrolio nell’area di quattromila chilometri attorno al bacino del fiume Amu Darya.
L’ambasciatore cinese in Afghanistan, Wang Yu, ha celebrato l’evento dicendo che si inserisce in una più ampia promozione delle relazioni bilaterali. Pechino non riconosce formalmente il regime dei talebani, ma sta facendo di tutto per far tornare gli accordi commerciali con il vicino alla normalità, dando una copertura finanziaria essenziale al regime. Già da una decina di anni il colosso di proprietà statale cinese National Petroleum Corp. aveva firmato diversi accordi con il precedente (e riconosciuto) governo afghano per l’estrazione del petrolio nell’area dell’Amu Darya, accordi saltati con il ritorno al potere dei talebani.
Pechino continua a rafforzare la sua partnership diretta con i talebani nonostante diversi attacchi contro i cinesi residenti in Afghanistan: nel dicembre scorso un attentato rivendicato dallo Stato islamico aveva preso di mira un hotel di proprietà cinese a Kabul, e subito dopo l’ambasciata cinese aveva emesso un avviso chiedendo ai cittadini cinesi di lasciare il paese. L’Afghanistan dei talebani è un palcoscenico perfetto per la leadership di Pechino in funzione antiamericana, e soprattutto per usare il terrorismo islamico come arma retorica per continuare la repressione della minoranza islamica degli uiguri nello Xinjiang. E’ così che funziona quella che i funzionari cinesi chiamano “una relazione win-win”: si fanno gli affari, e vince il più forte. Dei diritti umani, dello stato di diritto, delle libertà non sappiamo che farcene.