Un manifestante a Lima, Perù (Ansa)

Editoriali

Morire in Perù, protestando

Redazione

Proseguono le mobilitazioni a Lima. Ma dal Venezuela alla Bolivia, fino ai fatti dell'8 gennaio in Brasile, l’instabilità riguarda tutto il continente. Almeno 54 i morti 

E’ arrivato a 54 il numero delle vittime dell’ondata di proteste in Perù. Il 7 dicembre è stato destituito il presidente Pedro Castillo, che a sua volta aveva tentato di sciogliere il Congresso prima che questo votasse il suo impeachment. Per la maggior parte, le vittime sono  dimostranti, che prima ancora della liberazione di Castillo chiedevano nuove elezioni. Ma almeno un poliziotto è stato bruciato vivo, e anche nel centro della capitale c’è stato un grave incendio durante la “presa di Lima” dei sostenitori di Castillo venuti dalle regioni andine. Per il numero di morti, i moti in Perù emergono nel più generale quadro di disordini in corso nella regione: dalla protesta in Bolivia contro l’arresto del governatore di Santa Cruz Luis Fernando Camacho, alle manifestazioni in Venezuela contro i salari da fame, passando ovviamente per i fatti dell’8 gennaio a Brasilia.

   

Esattamente come Lula, la presidente Dina Boluarte denuncia che qualcuno sta pagando i manifestanti, e in più accusa i governi di sinistra, anche se in realtà c’è tra di essi una evidente spaccatura. Il presidente messicano López Obrador, il colombiano Petro, l’argentino Fernández e il boliviano Arce hanno infatti detto che secondo loro è ancora Castillo il presidente legittimo, con toni appena un po’ più moderati di quelli utilizzati dal venezuelano Maduro, dal nicaraguense Daniel Ortega e dal cubano Díaz-Canel, che hanno anche approvato il tentato golpe contro il Congresso. Invece sia il cileno Boric sia lo stesso Lula, pur auspicando una soluzione, chiedono il rispetto della Costituzione, e dicono che era Castillo che stava cercando di uscirne. Dina Boluarte è subentrata in quanto vicepresidente eletta con Castillo, e anche il primo ministro Alberto Otárola gestisce ora una linea dura contro la protesta dopo un passato di avvocato di sinistra impegnato sui diritti umani.

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