Editoriali
Attentato a una moschea e strage di poliziotti in Pakistan
L'attacco a Peshawar ha colpito quasi solamente forze dell'ordine. È stato rivendicato dal Ttp, alleato dei talebani afghani. E tra l’esercito diviso e il governo debole, la strategia del caos resta quella di sempre
Almeno sessantuno morti, più di centocinquanta feriti e molti fedeli ancora sotto le macerie in attesa di soccorsi. È il bilancio parziale dell’attacco, probabilmente opera di un attentatore suicida, alla moschea delle Police Line di Peshawar. Una moschea dentro alla cosiddetta “zona rossa” della città, dove si trovano il palazzo del Parlamento e molti edifici governativi, frequentata quasi esclusivamente da personale delle forze dell’ordine.
Secondo i primi rapporti di polizia, dentro alla moschea c’erano quasi trecento persone e le vittime sono prevalentemente membri delle forze dell’ordine. L’attacco, avvenuto oggi all’ora della preghiera pomeridiana, è stato rivendicato via Twitter da Sarbakaf Mohmand, un comandante del Tehrik-e-taliban-Pakistan (Ttp). L’organizzazione, che riunisce vari gruppi di militanti islamici, si era formato nel 2007 per combattere l’esercito pachistano e le sue campagne contro al Qaida nelle province di confine e per destituire il governo di Islamabad alleato degli americani.
Come sempre quando si parla di Pakistan, però, niente è quasi mai come sembra o come dichiara di essere: il Ttp ha un rapporto complicato e quasi simbiotico con i talebani afghani, che hanno a loro volta un rapporto di stretta collaborazione con l’esercito pachistano. L’obiettivo dell’attacco di Peshawar sono chiaramente i militari, in un momento delicato in cui, per la prima volta, si assiste a una aperta spaccatura tra diverse fazioni dell’esercito.
E in cui il governo civile è un governo debole ma, soprattutto, un governo di vasta coalizione e non eletto dal popolo. Ci sono stati negli ultimi mesi diversi attacchi a opera del Ttp e di altri gruppi militanti, e il Pakistan è tornato a suonare la grancassa a livello internazionale proclamandosi vittima del terrorismo per aver aiutato la coalizione della Nato. La strategia sembra in realtà quella abituale, riassunta mirabilmente dal famoso falso del Codice navale borbonico: facite ammuina. Perché il caos, in Pakistan, genera da sempre l’equilibrio necessario a lasciare il potere esattamente dov’è.