Editoriali
Perché non dobbiamo riabilitare Assad: la sua impunità ha rafforzato Putin
Il rais siriano ha sempre dimostrato una fedeltà cieca e sottomessa a Mosca. Bisogna ricordarlo anche e soprattutto ora che Ursula von der Leyen si è recata in Ucraina
A Kyiv Ursula von der Leyen ha stretto l’abbraccio europeo attorno all’Ucraina: ci saranno polemiche sui tempi dell’adesione, sulle promesse e sui fatti, ma le immagini di questi giorni sono potenti e inequivocabili, parlano di un’alleanza destinata a rafforzarsi, e soprattutto a durare. La durata è uno dei temi fondamentali della guerra voluta dalla Russia, che si basava su calcoli temporali: il tempo per occupare Kyiv e il tempo per sgretolare l’unità occidentale. Entrambi sono stati calcolati male da Mosca, ma se il primo errore è stato determinato dalla forza inattesa della reazione ucraina, il secondo era il frutto di una constatazione: le democrazie si stancano di difendere i loro valori, e l’impunità degli orrori umanitari ha fatto scuola.
A ricordarcelo oggi è Bashar el Assad, il dittatore siriano che ricompare nelle foto degli alleati di Vladimir Putin, lui che è ancora al suo posto grazie al sostegno indefesso proprio del presidente russo, lui che ha fatto e fa scempio del suo stesso popolo, utilizzando anche le armi chimiche, lui che non è più impresentabile, anzi, e punta a una riabilitazione che i filoputiniani accolgono con oscene acclamazioni. Putin, assieme all’Iran, ha sostenuto il regime siriano con i soldi, i soldati e gli aerei, ha saldato la sua propaganda a quella siriana, negando l’evidenza degli attacchi furiosi ai convogli umanitari e dell’utilizzo di armi non convenzionali. Assad lo ha ripagato con una fedeltà cieca e sottomessa che ora gli impone di accettare l’incontro con il presidente turco Erdogan come se fosse un patto di pace, quando vorrebbe solo dirgli: porta via i tuoi soldati turchi dalla Siria. Ma il prezzo che deve pagare oggi il rais siriano a Mosca non è lontanamente paragonabile a quello che ha pagato il popolo siriano e a quello che pagano le democrazie quando lasciano che i regimi pensino che non ci siano conseguenze alle loro brutalità.