Editoriali
Cosa ci faceva (se confermato) il leader di Hamas in Egitto. I contatti con Israele
Ismail Haniyeh sarebbe arrivato al Cairo per dei colloqui con funzionari egiziani. La visita è di rilievo, soprattutto in un momento in cui cresce la violenza contro lo stato ebraico
Ismail Haniyeh è il capo dell’organizzazione terroristica Hamas e, secondo la televisione del gruppo Al Aqsa, sarebbe arrivato in Egitto per tenere dei colloqui con vari funzionari egiziani. Haniyeh non esce da Gaza dal 2019 e dal 2017 non mette piede in Egitto. Dopo il Cairo i suoi spostamenti dovrebbero proseguire verso la Russia, il Qatar e la Turchia. Parallelamente, in Egitto sarebbe arrivata una delegazione dell’altro gruppo terroristico che minaccia Israele – la lista non include soltanto questi due ma è più lunga e articolata – il Jihad islamico, che avrebbe specificato di essere stato invitato dall’Egitto.
Questi spostamenti sono da tenere d’occhio, perché che l’intelligence egiziana abbia contatti con questi gruppi si sa, ma una visita al Cairo è di altro rilievo soprattutto in un periodo in cui il crescendo di violenza contro Israele ha convinto alcuni analisti che non c’è bisogno di altro terrorismo per parlare di Intifada. L’Egitto è un paese in evoluzione dal punto di vista diplomatico, vuole rafforzare la sua centralità e la sua capacità di influenza su alcuni dossier e vuole dare prova di abilità diplomatiche. Dall’altro lato è uno dei paesi che hanno capito quanto le buone relazioni con Israele siano importanti per il medio oriente e la collaborazione con Gerusalemme è di giovamento a tutta l’area.
È questo il principio che ha seguìto la maggior parte dei paesi firmatari degli Accordi di Abramo, un passo importante nei rapporti tra Israele e i suoi vicini. Il medio oriente ha capito ormai da tempo quanto sia cruciale il ruolo di Gerusalemme. La grande minaccia rimane l’Iran che continua a fomentare i gruppi terroristici nel piano mai abbandonato di attaccare Israele da tutti i suoi confini. Il legame fra Teheran e la Russia ora dovrebbe rafforzare a livello internazionale la convinzione della pericolosità della leadership iraniana, ferina con i suoi stessi concittadini e pericolosa fuori dai suoi confini, e la necessità di fermarla.