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Editoriali

Il circolo vizioso su Dublino: i trucchi dell'Italia per riversare i migranti nel resto dell'Ue

Redazione

I sotterfugi del governo per scaricare l'onere dell'accoglienza sugli altri stati membri sono controproducenti. A causa degli escamotage del nostro paese, Germania, Francia e Svizzera non si dicono disponibili a elaborare un nuovo Patto sull'immigrazione

Alla voce immigrazione, ai tavoli dei vertici europei, il problema è sempre di prospettiva. “Fermare i movimenti secondari”, chiedono i paesi dell’Europa centrale e del nord. E invece no, ribattono quelli del sud. Lo ha fatto anche di recente Giorgia Meloni da Varsavia: “Non ha senso parlare di movimenti secondari se prima non fermiamo quelli primari”. E mentre si dibatte se sia più urgente – e fattibile – interrompere i flussi dall’Africa o quelli all’interno dei confini europei, si resta in una situazione di stallo decisionale. Ma quello dei movimenti secondari è stato ed è ancora, per l’Italia, la spada di Damocle che impedisce ogni passo avanti nelle trattative con gli altri paesi per elaborare un Patto sull’immigrazione meno iniquo quando si parla di condivisione delle responsabilità.

 

Nelle ultime settimane, Germania, Francia e Svizzera hanno reiterato le loro proteste contro l’Italia per i suoi sotterfugi impiegati per scaricare all’estero l’onere dell’accoglienza di migliaia di persone. La settimana scorsa, in Germania, l’Ufficio federale dell’immigrazione ha calcolato che due terzi dei richiedenti asilo non compaiono nel database dell’Eurodac, il registro europeo in cui i paesi di prima accoglienza devono registrare identità e impronte digitali dei migranti. Il sospetto di Berlino è che i paesi europei del fronte sud – in particolare Italia e Grecia – abbiano consolidato l’abitudine di non registrare chi arriva sulle loro coste, in modo da lasciare liberi i migranti di richiedere asilo altrove, sconfinando in Francia, Germania, Austria e Svizzera.

 

È un modo con cui l’Italia aggira il Regolamento di Dublino, che invece impone al paese di primo approdo l’obbligo di processare le richieste di asilo. Nella prospettiva italiana, si tratta di un metodo per “condividere la responsabilità dell’accoglienza” con gli altri stati membri. Nella prospettiva degli altri paesi europei, invece, non è che una violazione delle leggi. E così la loro tesi – finora vincente – è sempre la stessa: “Perché dovremmo cambiare Dublino se voi per primi non l’avete mai rispettato davvero?”. Un circolo vizioso difficile da scardinare.

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