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Editoriali

Il calo degli ordini industriali in Germania impone una svolta all'Italia

Redazione

Nei rapporti interni all’Unione è possibile che il tentativo tedesco di riequilibrare a proprio vantaggio la bilancia commerciale porti a una forte tensione, soprattutto con i paesi, come il nostro, che esportano verso Berlino più di quello che importano.

L’economia tedesca, soprattutto quella produttiva, è attraversata da fasi critiche piuttosto evidenti. Nel mese di marzo, per citare i dati disponibili più recenti, gli ordini industriali sono calati del 10,7 per cento. Nei settori “strategici”, la costruzione di veicoli aerei e spaziali, ferroviari, navi e veicoli militari, si è addirittura ridotta del 47,4 per cento. Il dato, seppure riferito a un solo mese, è particolarmente significativo se si tiene conto che secondo le previsioni dell’Ifo di Francoforte sarebbe stata l’economia industriale a guidare la ripresa, che invece sembra in grave ritardo anch’essa. E’ presto per parlare di crisi economica tedesca, anche se fa impressione confrontare la riduzione dello 0,1 del pil tedesco del primo trimestre con l’inatteso aumento dello 0,5 di quello italiano.

 

Se quella che è stata definita da sempre la locomotiva economica dell’Europa si ferma, questo diventa oggettivamente il problema più grave di tutta l’economia continentale. Le misure adottate dal governo di Berlino non sembrano orientate alla crescita, a cominciare dalla frettolosa chiusura delle centrali elettriche nucleari, dettate da una scelta tutta ideologica. Anche nei rapporti interni all’Unione è possibile che il tentativo tedesco di riequilibrare a proprio vantaggio la bilancia commerciale porti a una forte tensione, soprattutto con i paesi, come il nostro, che esportano in Germania più di quello che importano. Sarebbe invece necessario un approccio meno nazionalistico da parte di tutti, una ricerca delle condizioni per una crescita comune, anche se con ritmi diversi da quelli consueti. Per farlo servirebbe una regia europea meno nevrastenica e un atteggiamento dei governi meno condizionato dalle opportunità elettorali immediate, ma c’è poco da sperarci, soprattutto per una coalizione come quella tedesca che sembra più un effetto aritmetico che l’adesione comune a una visione condivisa.

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