cosa sappiamo dell'attacco
C'è stato un attacco al ponte di Crimea. E Mosca non rinnova l'accordo sul grano
Due persone sono morte in quello che Mosca sostiene essere un attentato di Kyiv, guidata da Washington e Londra. Sarebbero stati usati dei droni di superficie. I servizi di sicurezza ucraini non lo ammettono apertamente, ma accennano a un loro ruolo: "Tutti i dettagli dopo la vittoria"
C'è stato un attacco al Krimski most, il "ponte di Kerch", che collega la Crimea alla Russia. Questa mattina, lunedì 17 luglio, l'infrastruttura è stata chiusa al traffico a causa di quella che le autorità russe hanno in un primo momento definito genericamente "un’emergenza". Poi il ministero della Salute della regione russa di Krasnodar, all’estremità orientale del ponte, ha detto che due persone sono morte in un incidente sul ponte e che la loro figlia è rimasta ferita. Intanto, fonti citate da Associated Press e Bbc hanno iniziato a parlare di alcune esplosioni, avvenute la notte scorsa.
Più tardi, nel corso della mattinata, il presidente del consiglio di stato della Crimea, Vladimir Konstantinov, ha accusato Kyiv dell'attacco al ponte. "Kyiv è un regime terroristico guidato da Washington e Londra", ha poi scritto la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova sul suo canale Telegram. "Le decisioni sono prese da funzionari e militari ucraini con la partecipazione diretta dei servizi segreti e dei politici statunitensi e britannici", ha detto Zakharova.
Una fonte del servizio di sicurezza ucraino ha confermato alla Bbc che l'attacco sarebbe una loro "operazione speciale". “Il ponte è stato attaccato con droni marini di superficie. È stato difficile raggiungere il ponte, ma alla fine ce l'abbiamo fatta", avrebbe detto la fonte. I droni utilizzati sarebbero sostanzialmente delle imbarcazioni indipendenti senza pilota che possono navigare sull'acqua, telecomandate o a guida autonoma.
Anche il sito ucraino censor.net sostiene che il servizio di sicurezza ucraino avrebbe confermato di essere dietro all'attacco. Il servizio di sicurezza ucraini ha rilasciato una dichiarazione ufficiale sull'attacco al Krymski most. Non ha ammesso apertamente che dietro l'operazione cia sia la loro agenzia, ma la dichiarazione accenna al ruolo di Kyiv nell'attacco, suggerendo che "tutti i dettagli riguardanti l'esplosione saranno annunciati dopo la vittoria".
È prassi abituale per il governo ucraino non ammettere apertamente il proprio coinvolgimento in questo genere di azioni. Solo questo mese, ad esempio, un funzionario della difesa ucraino ha ammesso la responsabilità su un altro attacco allo stesso ponte di Kerch avvenuta lo scorso ottobre. Alle sei di sabato mattina 8 ottobre 2022, infatti, sull’unico ponte che collega la Crimea alla Russia c’è stata una forte esplosione e parte dell’infrastruttura è caduta in mare. Il ponte è un’arteria importante che Mosca ha usato in questi mesi per rifornire le sue truppe. Il danno dell'attacco dunque fu doppio (e lo è anche oggi) perché non colpì soltanto il ponte e le comunicazioni tra la penisola e Mosca, ma anche la capacità dell’esercito russo di rifornire i soldati di mezzi, munizioni, carburante mentre erano impegnati nella battaglia sul fronte meridionale dell’Ucraina, dove l’esercito di Kyiv portava avanti una controffensiva tenace, millimetro dopo millimetro. Con il ponte è stato attaccato il simbolo del prestigio putiniano e del progetto del Cremlino di invadere l'Ucraina. Anche allora Mosca accusò Kyiv, che risponse: "E' l'inizio. Tutto ciò che è illegale deve essere distrutto".
Quello di Kerch è il ponte più lungo d'Europa, divide il mar Nero dal mare di Azov e collega appunto Kerch, in Crimea, al distretto russo di Krasnodar, nella Russia europea meridionale. Benché sia costato oltre 27 mesi di lavori e 3,7 miliardi di euro il Krimski most è stato soprattutto una trovata elettorale: nel 2018 Vladimir Putin si presentò all’inaugurazione in jeans, percorse i 19 chilometri fino a Krasnodar guidando un camion – non uno qualunque ma un Kamaz, una casa produttrice storica -. Prima di chiudere la portiera del veicolo, il presidente russo disse: “Poechali!”. “Andiamo!”, la stessa esclamazione pronunciata dal cosmonauta Juri Gagarin prima di iniziare la sua missione nello spazio. Quel giorno la struttura sembrava segnare soltanto un ulteriore sopruso contro l’Ucraina, ma quattro anni dopo sarebbe servito anche a creare anche una nuova arteria per rifornire l’esercito russo durante l’invasione dell'Ucraina.
Qui Micol Flammini ha spiegato l'ossessione russa per i ponti e perché quello che domina il mare di Azov è così importante.
Sospeso l'accordo sul grano
Intanto oggi si sono conclusi gli accordi sul grano che erano stati prorogati fino al 18 luglio. Un anno fa, a Istanbul, la Russia e l’Ucraina avevano firmato con la Turchia e con l’Onu due accordi separati per sbloccare più di 20 milioni di tonnellate di grano ferme nei porti del Mar Nero. L’accordo sarebbe dovuto durare per centoventi giorni con possibilità di essere rinnovato fino a normalizzare le esportazioni. e ora, appunto, è scaduto l'ultimo rinnovo.
"Di fatto, l'accordo sul Mar Nero ha cessato di funzionare oggi", ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. "Sfortunatamente la parte relativa alla Russia di questi accordi ancora non è stata attuata, quindi la sua validità è terminata. Non appena la parte russa degli accordi sarà soddisfatta, la Russia ritornerà immediatamente all'attuazione dell'accordo", ha aggiiunto Peskov. La Russia nelle scorse settimane sosteneva che non fossero stati rimossi "gli ostacoli" alle esportazioni russe di cereali e fertilizzanti. Mosca ha inviato le sue obiezioni ufficiali all'estensione dell'accordo ad Ankara, Kyiv e alle Nazioni Unite, ha dichiarato la portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova. "La Russia ha notificato oggi ufficialmente alle parti turca e ucraina, nonché al segretariato delle Nazioni Unite, la sua obiezione alla proroga dell'accordo", ha detto.
Finché non si trova una nuova intesa le navi che partono da Odessa e da altri due porti ucraini affacciati sul Mar Nero non potranno (in teoria) salpare con i loro carichi di cereali. Quando a novembre scorso la Russia aveva deciso di sospendere l’accordo sui corridoi per il grano, la Turchia e le Nazioni Unite avevano comunque garantito la loro mediazione, facendo capire a Mosca che il voltafaccia non soltanto non era gradito e aveva già fatto aumentare i prezzi del grano, ma che sarebbe stato anche contrastato con forza. Il rischio tuttavia è che un braccio di ferro su un bene così prezioso possa provocarne la carenza e colpire soprattutto i paesi più in difficoltà. Anche per questo la Turchia, l’Onu e l’Ucraina non vorrebbero ricorrere a rinnovi periodici. Ma la Russia usa gli accordi e l’ipotesi di bloccare ancora il trasporto del grano come ricatto.
Il motivo per cui il Cremlino non aveva finora fatto saltare l’accordo è perché ha la sua convenienza e anche perché ha attorno a sé una serie di pressioni molto forti alle quali non può far altro che cedere. Sono le pressioni dei suoi alleati, come Pechino, o come alcuni paesi del Golfo, che non vogliono che la mancanza di cereali e un’eventuale carestia possano mettere in difficoltà le loro zone di interesse.