Editoriali
Zaki è un test per la nuova diplomazia
La via per la grazia può essere percorsa solo tramite la politica. Cosa c’è in ballo per Meloni con la condanna contro l’attivista
La condanna, tutta politica, di Patrick Zaki esprime la volontà del governo egiziano di impedire ogni forma di dissenso. Quello di tipo occidentale impersonato dallo studente laureato a Bologna non è il dissenso più preoccupante per i militari al potere, quello davvero insidioso è quello di tipo islamistico, ma evidentemente il regime ha scelto di dare un esempio, senza tener conto delle pressioni occidentali e in primo luogo italiane. Giorgia Meloni ha detto di avere “ancora fiducia” in una soluzione positiva, ma naturalmente si tratta di un obiettivo assai arduo. La sentenza è inappellabile per via giuridica, ma potrebbe essere annullata per decisione delle autorità militari del distretto.
Un risultato positivo quindi può essere ottenuto solo per via politica, ed è persino inutile sottolineare che un successo sarebbe un risultato diplomatico molto importante. Che cosa è una via diplomatica nelle relazioni con un potere autoritario del tipo di quello vigente in Egitto? Dovrebbe passare per complesse manovre, che riconoscano il ruolo dell’Egitto nello scacchiere del Mediterraneo, il che implica in primo luogo la situazione libica, e forse anche iniziative economiche, soprattutto sulle questioni petrolifere.
La condizione per avviare anche soltanto una iniziativa diplomatica è di agire in modo assolutamente riservato, visto che il governo egiziano non può e non vuole apparire come oggetto di una campagna propagandistica ostile o di pressioni esterne. Questo spazio, quello della protesta pubblica, sarà lasciato alle organizzazioni umanitarie come Amnesty. Al governo spetta un lavoro silenzioso e complesso, un’ostentazione necessaria di rispetto per le autorità egiziane, insomma un ruolo antipatico e impopolare, che è però quello cui bisogna sottomettersi se si vuole avere qualche possibilità di un esito soddisfacente.