Editoriali
L'Argentina e la democrazia in deficit
Il successo di Milei è il sintomo di una crisi fiscale prima che democratica. Attualmente l’inflazione ha superato il cento per cento
Dopo le primarie che hanno visto Javier Milei a sorpresa davanti alle storiche coalizioni di destra e sinistra, gli osservatori internazionali sono scioccati dall’eventualità sempre più probabile che questo eccentrico economista con le basette alla Wolverine possa diventare il prossimo presidente dell’Argentina. Milei è un estremista, un radicale libertario, che vuole chiudere la metà dei ministeri, tagliare la spesa pubblica, fare la guerra alla “casta” politica, privatizzare quasi tutto, rompere con i partner “comunisti” come la Cina (e quindi con i Brics con cui Buenos Aires è in trattativa per entrare) e, soprattutto, dollarizzare l’economia chiudendo la banca centrale. Insomma un populista, un urlatore estremista nella scia, anche tricologica, di Donald Trump e Jair Bolsonaro.
La ragione dell’avanzata di Milei (La Libertad Avanza è il nome del suo partito) è in una generale crisi delle democrazie nel continente americano, ma soprattutto in una specifica crisi argentina. Che è fiscale, prima che democratica. L’Argentina è il paese nella storia moderna che ha fatto più default, con un deficit fiscale strutturalmente fuori controllo per via delle politiche peroniste che, dopo ogni default, nell’impossibilità di trovare creditori, viene finanziata stampando moneta attraverso la tassa dell’inflazione. Attualmente l’inflazione ha superato il cento per cento e il Fmi sta cercando di aiutare il governo della sinistra populista a fermarla al 116 per cento (in Italia è al 6 per cento e sembra altissima).
Il problema delle ripetute crisi dell’Argentina è essenzialmente fiscale, come spiega bene l’imponente A monetary and fiscal history of Latin America recentemente pubblicata dagli economisti Kehoe e Nicolini. Se a un certo punto gli argentini pensano di affidarsi a un demagogo svalvolato che propone di abbattere lo stato sociale e chiudere la banca centrale è perché decenni di peronismo social-statalista hanno già distrutto la credibilità delle istituzioni che Milei si appresta a liquidare.