editoriali
Nagorno-Karabakh al capolinea
Con il cessate il fuoco “garantito” dai russi, finisce la speranza armena nell’enclave. I prossimi giorni ci diranno se una coabitazione è possibile o se ciò a cui assisteremo sarà un’evacuazione generale
Con l’ultima aggressione dell’Azerbaigian cede la vecchia serratura che per oltre trent’anni ha difeso il sogno d’indipendenza dell’enclave armena del Nagorno-Karabakh. In meno di 24 ore infatti le truppe azere hanno messo in ginocchio quel che rimaneva di una popolazione stremata da mesi di assedio. Con la firma del cessate il fuoco, le forze armate del Nagorno-Karabakh accettano di deporre le armi: a garantire l’accordo ci saranno le forze di interposizione russe, quelle che per tre decenni si sono presentate come garanti della sicurezza degli armeni. La rabbia di Yerevan contro le promesse di Mosca traspare nelle parole del segretario del Consiglio di sicurezza Armen Grigorian: “Siamo andati con la Russia in Siria, abbiamo votato con la Russia in tutte le istituzioni internazionali, non abbiamo lasciato la Csto, eppure al momento di proteggerci ancora una volta ci ha abbandonati”. Ma Mosca non è l’unica a rimanere immobile: Baku ha lanciato l’operazione militare durante l’assemblea generale dell’Onu ma dal Palazzo di Vetro non esce più che qualche tweet di disappunto.
Acquisisce così un significato sinistro la concessione azera di settimana scorsa sulla riapertura del corridoio di Lachin, che da oggi si trasforma nell’unica e disperata uscita a senso unico per 120 mila armeni che dovranno scegliere se abbandonare le loro case e trasferirsi in Armenia o se fidarsi a rimanere a vivere senza più protezioni in casa di chi ha fatto dell’incitamento all’odio contro gli armeni parte del programma scolastico ministeriale. I prossimi giorni ci diranno se una coabitazione è possibile o se ciò a cui assisteremo sarà un’evacuazione generale e la più volte evocata “de-armenizzazione” del Nagorno-Karabakh. Il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, dovrà ora convincere il suo popolo che si chiude forse per sempre un conflitto che ha costretto l’Armenia per anni a un’esistenza soffocante nelle pieghe dei giochi di potere di Mosca.