distinzioni necessarie
Equivoci sinistri sulla guerra che si combatte a Gaza
Si sente dire che Netanyahu ha “favorito” Hamas, che l’occupazione della Cisgiordania è contro ogni prospettiva di pace, che i coloni sono un’orda di neocolonialisti. Le cose, in realtà, non stanno proprio così
Tra le cose illogiche che si sentono c’è questa. Netanyahu ha pagato e incoraggiato Hamas fino al 7 ottobre, ha “favorito” gli autori del pogrom. Detta così sembra la delineazione di una complicità morale, un crimine filoterrorista. Bisogna invece prendere atto del fatto che la dissuasione e la deterrenza verso Hamas a Gaza erano parte di una strategia il cui scopo era la sicurezza di Israele attraverso gli accordi di Abramo e, in genere, l’affermazione della logica del divide et impera applicata alle organizzazioni politiche e militari palestinesi. Una strategia che il 7 ottobre ha vanificato, che è fallita, ma che non fu un atto di complicità criminale. Netanyahu renderà conto politicamente di questo fallimento ma è assurdo imputargli una collusione con Hamas per aver cercato di proteggere la sicurezza del suo paese con metodi rivelatisi fallimentari, ai quali per decenni inutilmente si cercò di opporre un’alternativa nel dialogo diretto e conflittuale con le organizzazioni palestinesi.
E Hamas è una banda feroce di predoni dell’islam politico, un’avanguardia ostinata del fronte antiebraico il cui scopo è la distruzione del nemico assoluto, ma è anche formalmente una componente dell’Olp o Autorità Palestinese: il capo politico di Israele si è infilato in un vicolo cieco quando ha pensato fosse opportuno alternare attacchi militari e dissuasione verso chi aveva vinto a Gaza le elezioni dopo una spietata guerra civile contro Abu Mazen, puntando a un accordo tra stati che superasse la questione palestinese. In certi momenti non si era comportato diversamente il grande Rabin, assassinato da un fanatico dell’estrema destra religiosa osservante. Non difendo Netanyahu, difendo la distinzione logica tra critica politica dura e insinuazione obliqua di tipo moralistico.
Si sente anche questa. Israele occupa militarmente dal 1967 la Cisgiordania, e questo è un crimine di guerra sistematico e un atto di aperta opposizione a qualunque prospettiva di pace con i palestinesi. Va ricordato che la piattaforma del negoziato di Oslo, il cui padre nobile lontano era il fondatore dello stato ebraico Ben Gurion con la sua diffidenza verso il metodo dell’occupazione militare indefinita dei territori e il cui padre politico fu Rabin, era basata sullo scambio tra la terra e la pace. L’occupazione era il pegno della terra per un negoziato. Rabin firmò con Arafat un accordo, nel 1993, che prevedeva la fine formale e sostanziale dell’obiettivo strategico di distruggere e cancellare Israele da parte dell’Olp in cambio della formazione di uno stato palestinese su oltre il 90 per cento della terra occupata dopo la guerra dei sei giorni del 1967. Dunque l’occupazione della Cisgiordania in seguito a una guerra vinta non era e non è mai stata una annessione strisciante e un attentato permanente alla prospettiva dei due stati e due popoli, era il pegno militare e politico di un negoziato per garantire a Israele il riconoscimento, che alla fine doveva essere reciproco, con il nemico relativizzato e dissuaso. Con il Sinai era andata così, e Sadat pagò con la vita l’adesione allo schema terra contro pace.
Si sente dire che i coloni però sono un’orda di neocolonialisti che scacciano gli autoctoni dal loro paese. E che il fenomeno è cresciuto smisuratamente in una prospettiva di annessione della Cisgiordania occupata e colonizzata. E questa è effettivamente un’aspirazione dei gruppi che puntano al mito del Grande Israele, ed è vero che tra i coloni, assediati dalla intifada e minacciati, si è sviluppata una tragica, tremenda, psicologia dell’autodifesa come dissuasione violenta del nemico, con conseguenze devastanti. Però in linea di principio bisogna ammettere che una popolazione ebraica che vuole abitare quella che è storicamente la regione della Giudea e della Samaria dovrebbe avere il legittimo potere di farlo, anche in un quadro di due popoli e due stati, così come quasi un milione di arabi vivono, lavorano, votano, sono eletti in Parlamento e godono di diritti civili nel territorio storico di Israele, nei suoi confini. Sharon sradicò i coloni da Gaza, quando si ritirò dall’occupazione della Striscia, ma la conseguenza fu notoriamente il linciaggio anche del ricordo della loro presenza, l’incendio delle sinagoghe, un clima di intolleranza e prevaricazione islamista che portò al potere gli aguzzini di Hamas. E’ credibilmente replicabile quello schema in Cisgiordania?
Quanto ai civili vittime della guerra attuale, è incredibile quanto sia difficile opporre alla verità umanitaria ufficiale, quella dell’Onu e della Bbc, per capirsi, la verità umanitaria che è sotto gli occhi di tutti. L’uso di ospedali ambulanze scuole centri infantili di gioco e moschee come scudo militare è inaudito: hanno costruito una fortezza terroristica sulla scommessa della morte dei civili, per scopi di propaganda e di tattica armata, e nel mondo c’è gente che sfila e questa fortezza la chiama pace e liberazione. Cercano di impedire il deflusso dei civili verso il sud della Striscia e figurano come vittime dell’accanimento di Tsahal. Come è possibile che chi si batte per difendersi e sradicare gli autori del pogrom del 7 ottobre debba rispondere delle vittime civili che sono il martirio imposto dai predoni islamisti?
Dalle piazze ai palazzi