editoriali
Bashar al Assad è ufficialmente un ricercato
Un tribunale francese emette un mandato di arresto per crimini di guerra a carico del dittatore siriano
Un tribunale in Francia ha emesso un mandato di arresto a carico del dittatore siriano Bashar al Assad e di tre suoi generali perché accusati di avere commesso crimini di guerra. Dopo tre anni di indagini, l’ordine è stato dato dall’Unità specializzata in crimini contro l’umanità e di guerra del Tribunale di grande istanza di Parigi. Dopo avere ascoltato decine di testimonianze e avere vagliato le prove documentali raccolte sul campo, gli inquirenti hanno giudicato Assad responsabile dell’attacco con armi chimiche compiuto a Ghouta e Douma, in Siria, nell’agosto del 2013 provocando la morte di oltre mille civili. “È un momento storico, che crea un precedente”, ha commentato la Open Society Justice Initiative, una delle ong che ha denunciato Assad presso il tribunale francese. “È la prima volta che un mandato di arresto in un altro paese è emesso nei confronti di un capo di stato in carica per avere commesso crimini di guerra e contro l’umanità”.
In Francia, come in alcuni altri stati, vige il principio di giurisdizione extraterritoriale, che consente alle procure di indagare su particolari crimini commessi all’estero. In teoria, Assad dovrebbe comparire davanti a un giudice di Parigi per essere interrogato. Un’ipotesi remota, ovviamente, ma ciò non dovrebbe impedire che il processo possa comunque celebrarsi in absentia. Anche gli altri mandati di arresto sono destinati a figure di rilievo. Fra queste c’è Maher al Assad, fratello di Bashar e comandante della IV divisione corazzata da cui dipende la Shabiha, la polizia segreta responsabile di migliaia di sparizioni, torture e omicidi degli oppositori del regime.
Certo è difficile illudersi che Assad possa comparire alla sbarra nell’aula di un tribunale per rispondere dei crimini commessi, in particolare adesso che il dittatore siriano è al culmine di un lento processo di normalizzazione delle sue relazioni politiche con il resto del mondo, soprattutto quello arabo. Ma la decisione presa dalla giustizia francese dimostra che c’è un’alternativa all’impunità.
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